La lettura del romanzo di Louis De Wohl La lancia di Longino mi ha suscitato la curiosità di sapere qualcosa di più sulla storia del protagonista e sull’oggetto che dà il titolo al libro. Il punto di partenza è ovviamente il testo evangelico; ne parla solo san Giovanni: “Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato — era infatti un giorno solenne quel sabato —, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme a lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con un lancia gli colpì il fianco e subito ne uscì sangue e acqua” (19, 31-34).
La Scrittura non dice più nulla dell’anonimo soldato e della sua lancia, ma la tradizione (che è una fonte di ragionevole conoscenza attraverso i testimoni, e nient’affatto insieme di fantasiose invenzioni) gli ha dato un nome e ne ha fatto un santo (si celebra il 16 ottobre).
Longino infatti — scrive la Legenda aurea — “credette in Cristo perché toccatosi per caso gli occhi, oscurati da una malattia, con il sangue di Cristo che era colato lungo la lancia, riprese a vedere chiaramente. Rinunciò alla vita di soldato, fu istruito dagli apostoli, visse da monaco” e morì martire. Probabilmente portando sempre con sé la sua lancia, che poi divenne preziosa reliquia, le cui tracce nei secoli si sono moltiplicate. Non necessariamente perché qualche furbastro si è inventato una reliquia falsa per gabbare gli allocchi e trarne vantaggi economici; a volte le reliquie venivano spezzate (nel nostro caso può essere stato possibile solo per il manico di legno), ma soprattutto nuovi oggetti, per il contatto con una reliquia, ne assumevano le virtù taumaturgiche e agli occhi dei fedeli venivano anch’esse considerate sante come l’originale.
Non si deve nascondere però che la venerazione delle reliquie ha assunto anche forme degradate. Quel particolare oggetto — mettiamo la lancia di Longino — è importane perché documenta un fatto della storia della salvezza, la rende contemporanea offrendomene i frutti; tutto il valore della reliquia sta però nel legame vivo col fatto originario: dimenticarsene e nel contempo cercare nell’oggetto i benefici desiderati è un atto di magia.
Torniamo alle reliquie della lancia di Longino: una si trova in san Pietro a Roma nel pilastro ornato dalla meravigliosa statua di Gian Lorenzo Bernini, un’altra era stata deposta da san Luigi IX nella Sainte Chapelle di Parigi e poi dispersa dai rivoluzionari e mai più ritrovata, una terza è passata dall’uno all’altro degli imperatori del Sacro Romano Impero fino a giungere in un museo di Vienna, oramai evidentemente spogliata di ogni significato sacro. La lancia di Vienna conservava però una certa aura leggendaria: si diceva che i regnanti che la possedevano diventavano invincibili in battaglia. Già questo è sufficiente per confermare la dinamica appena ricordata, per cui ogni aspetto del cristianesimo, staccato dalla sua radice vitale, perde il suo autentico senso. Ma la storia successiva dimostra che il significato originario può addirittura venir stravolto fino al suo contrario.
Nel 1912 il museo viennese che ospitava la santa lancia fu visitato da un giovane di 23 anni, che rimase affascinato dal reperto e dalla sua storia; pensava a quanto sarebbe stato bello possederlo per diventare invincibile. Si chiamava Adolf Hitler e, salito al potere in Germania, nel 1938 fece trasferire la lancia ad Aquisgrana perché lo rendesse imbattibile nel suo folle piano di conquista del mondo. Incurante del fatto che il sangue scaturito dal colpo di quella lancia era offerto dal Figlio di Dio per la salvezza di tutti gli uomini, pensò di usarla per ottenere il dominio assoluto anche a costo di versare fiumi di sangue. La reliquia era stata sfigurata nel suo opposto.