Mi hanno chiesto di chiarire meglio l’immagine — usata nell’editoriale di lunedì scorso per descrivere il cristianesimo — della “catena” che connette il mio presente con quel tempo passato in cui tutto ha avuto inizio. Provo a farlo riassumendo un racconto di Anton Cechov: Lo studente (1894).
Il protagonista, Ivan, studente all’accademia ecclesiastica, sta tornando nel suo villaggetto sperso nella vastità della pianura; è il Venerdì Santo, ma i segnali di primavera comparsi nei giorni precedenti sono stati cancellati dal repentino ritorno dell’inverno. “Gli pareva che questo freddo improvvisamente sopraggiunto avesse turbato in ogni cosa l’ordine e l’armonia, che la natura stessa fosse angosciata e perciò l’oscurità serale si fosse infittita più in fretta di quanto bisognava”. Il gelo gli suggerisce pensieri tristi: che il vento freddo che sentiva lui adesso è lo stesso che soffiava ai tempi degli antichi fondatori della madre Russia, di Ivan il Terribile e dello zar Pietro e che in tutti quei tempi “c’era già esattamente la stessa disperata povertà e fame”; non solo: anche per il futuro “la vita non sarebbe divenuta migliore per il fatto che fossero passati altri mille anni”. Il tempo è una morsa indifferente e implacabile.
Ivan passa di fronte alla casa dove la vedova Vassilissa e sua figlia Lukeria, sedute accanto al fuoco, sono intente ai lavori domestici. Ivan le saluta, parla del freddo e, trascinato dalla riflessioni che aveva appena fatto, paragona il loro presente con un passato ben noto: “Proprio allo stesso modo in una fredda notte si scaldò accanto al fuoco l’apostolo Pietro”. Le donne lo guardano interessate e lui continua il racconto di quei giorni lontani, concentrandosi su Pietro; egli “amava appassionatamente, perdutamente Gesù, ed ora vedeva da lontano come lo percotevano”. Ma poi lo rinnegò e “dice il Vangelo ‘Uscì fuori e pianse amaramente’. Immagino: un orto tutto silenzioso, tutto buio, e nel silenzio si odono appena sordi singhiozzi…”.
Coi tre puntini Cechov ci avvisa che siamo all’acme del racconto: improvvisamente Vassilissa scoppia in pianto. Ivan assume un’espressione “penosa e tesa, come quella di una persona che reprima un violento dolore”; per togliersi d’impaccio saluta le donne e prosegue il cammino. Rimugina su quello che ha visto. “Lo studente pensò che, se Vassilissa si era messa a piangere e sua figlia si era turbata, evidentemente ciò ch’egli poc’anzi aveva raccontato, ciò che era avvenuto diciannove secoli addietro, aveva un legame col presente: con le due donne e, probabilmente, con quella campagna deserta, con lui stesso, con tutti gli uomini. Se la vecchia aveva pianto, non era stato solo perché egli sapesse raccontare in modo commovente, ma perché Pietro le era caro e perché ella, con tutto l’essere suo, aveva interesse a ciò che era avvenuto nell’anima di Pietro”.
“E la gioia — conclude Cechov — tutt’a un tratto si rimescolò nel suo cuore, ed egli stesso si fermò perfino un momento, per riprender fiato. Il passato — pensava — è legato al presente da una catena ininterrotta di eventi scaturiti uno dall’altro. E gli pareva di aver veduto dianzi entrambi i capi di questa catena: ne aveva appena toccato un capo, che l’altro aveva dato un sobbalzo. […] Egli pensava che la verità e la bellezza che avevano indirizzato la vita umana laggiù, nell’orto e nel cortile del gran sacerdote, erano continuate senza interruzione fino ad oggi ed evidentemente avevano costituito l’essenziale nella vita umana e, in genere, sulla terra”.