MOSCA — Un dato che ha sorpreso tutti: oggi in Russia sono protagonisti giovani e giovanissimi – liceali e universitari. Sembravano ormai tramontate le “passeggiate” della libertà che negli scorsi anni, a partire dalle denunce di corruzione delle elezioni del 5 dicembre 2011, hanno portato in piazza le folle, ma improvvisamente si sono ripresentate, e con un volto decisamente ringiovanito, nel clima primaverile di un soleggiato pomeriggio moscovita. 

È successo alla manifestazione di massa contro la corruzione – oltre 10mila persone (7-8mila secondo le stime ufficiali) – svoltasi domenica scorsa nel centro di Mosca. Il rigelo non si è fatto aspettare: la neve ha ripreso a cadere sulla capitale già in serata, e la risposta delle forze dell’ordine a quella che è stata definita una “provocazione e una menzogna” nel giro di poco tempo ha ripristinato l’ordine (oltre 600 fermi di polizia). In ogni caso, la nuova ondata di proteste e il nuovo protagonista che vi emerge lanciano certamente una sfida al potere, che finora, in questi ultimi tempi, aveva potuto esibire cifre altissime di consenso popolare.

Chi sono questi ragazzi e che cosa li ha spinti in piazza? Alla seconda domanda è più facile rispondere: nei giorni precedenti Aleksej Naval’nyj aveva lanciato su youtube un video sull'”impero edilizio” del premier Medvedev, visto da 11 milioni di persone. A fronte della crisi imperante nel paese, molte persone si sono spontaneamente associate all’appello di Naval’nyj a protestare, e non solo a Mosca, ma anche a Pietroburgo, nel Caucaso, in Siberia e in Estremo Oriente, fino a Vladivostok. In ognuno di questi centri si parla di almeno un migliaio di manifestanti. Mentre Medvedev faceva sapere di aver passato un’ottima domenica sui campi da sci.

Alla prima domanda – chi sono questi ragazzi – la risposta non è scontata. In fondo nessuno li conosce realmente né li ha mai presi in considerazione come forza sociale; li si è sempre guardati come una generazione culturalmente e intellettualmente più sprovvista delle precedenti, politicamente disimpegnata (niente a che fare con il ’68!), immersa in un proprio mondo di aggregazioni virtuali. 

In effetti, a radunarli sono stati proprio i social, comunicando con loro in un linguaggio accessibile e un’intelligente ironia, come evidentemente i loro genitori – che pure in molti casi erano scesi in piazza nel 2011-2012 – non hanno saputo fare. Quale sia il messaggio passato lo si vede bene nelle numerose interviste che circolano in questi giorni sui media russi: è la scoperta che “il re è nudo”, che cioè dietro la facciata di retorica morale e religiosa costruita dalla scuola e dall’informazione, dietro gli slogan di grandezza della patria si cela un’altra realtà, fatta anche di ingiustizie, falsità e corruzione.

E contro tutto questo i ragazzi sono insorti. Il’ja, seconda superiore: “Abbiamo capito che stavolta, in realtà, era una questione più di coscienza che di politica…”. “Io ci sono andata – aggiunge Tanja – per vedere con i miei occhi cosa succedeva, perché i mass media non si sa mai che cosa raccontano e che punto di vista presentano… E poi sui media di questa faccenda ne parleranno ben poco. Ho visto io, come sotto il monumento di Puškin hanno cominciato a spintonare la gente e a prendere tutti quelli che non riuscivano a scappare. Non perché avessero fatto qualcosa…”. 

Nei racconti dei ragazzi si mescolano ironia (c’è chi rifà il verso agli uomini dei reparti speciali: “Pacifici cittadini, sgomberate altrimenti lanciamo i lacrimogeni”, chi ride dei turisti stranieri finiti nel parapiglia senza capirci niente), innocenti bravate (qualcuno si arrampicava sui lampioni per vedere dall’alto quel che stava succedendo, c’era chi giocava a nascondino con le forze dell’ordine passando tra i cortili per poi riemergere a tratti sulla via principale), ma anche una nuova consapevolezza di dover passare al vaglio della propria esperienza tutto ciò che il mondo degli adulti offre.

La memoria corre involontariamente ai “ragazzi di piazza Majakovskij” della fine anni 50-inizio 60: avevano cominciato a radunarsi sotto il monumento del “poeta della rivoluzione” a leggere versi, e proprio il soffio di autenticità della grande poesia li ha condotti gradualmente ad accorgersi che gli occhiali rosa dell’ideologia con cui erano stati indotti fino a quel momento a guardare la realtà circostante erano un sotterfugio per derubarli degli orizzonti infiniti della vita. E hanno dato il via alla stagione del dissenso. Perché una volta che hai respirato l’aria pura di quegli orizzonti, nello stantio del chiuso non ti ci riducono più.

I ragazzi di oggi riusciranno a incontrare la stessa bellezza, a respirare la stessa aria? Di denuncia non si vive, alla fine ci si affloscia nello scetticismo. È un appello, una sfida alle generazioni adulte di oggi, e in primo luogo ai credenti, alla Chiesa, a non spegnere l’impeto ideale di questi ragazzi – che tra la sorpresa di tutti hanno testimoniato di essere vivi – ma a testimoniare e comunicare ciò che di più importante possiedono, perché l’uomo per crescere ha bisogno solo di bellezza e di autenticità.