Le “pantere grigie” si sono conquistate i titoli dei media dopo i dati dell’occupazione a gennaio. L’aumento dei lavoratori fra i 50 e i 64 anni ha sostenuto il lieve incremento mensile di inizio 2017 (+01,%) e gli analisti hanno guardato sempre agli “over 50” per interpretare la contemporanea crescita dei lavoratori indipendenti, “autoimpiegati”.

Al di là delle cifre (fra le quali resta un drammatico 38% di disoccupazione giovanile) è percepibile fra gli opinionisti la voglia di cambiare argomenti e toni sulla crisi del lavoro in Italia. Su avverte stanchezza .- se non scetticismo –  nel ripetere che “se i padri non possono andare in pensione i figli non possono prendere il loro posto in azienda”. Meglio provare a capire perché un cinquantenne “esodato” qualche volta riesce a ritrova lavoro, qualche volta a reinventarsi lavoratore autonomo. Può darsi serva a guardare diversamente anche i problemi dei “figli”.

Non è mai vero, anzitutto, che un cinquantenne sia professionalmente obsoleto, anzi. Può essere espulso da un’azienda perché il suo lavoro costa troppo, difficilmente perché non vale davvero più nulla. Oppure può ritrovarsi fuori da un’azienda per scelte strategiche che – in un’economia globalizzata – poco hanno a che fare con la qualità delle sue skill. E queste – siano di un ex manager o di un tecnico di produzione – continuano ad avere mercato o anche di più: possono rivelarsi “capitale umano” da reinvestire in un’attività d’impresa. E in questo caso possono agire da insospettato volano occupazionale: con prospettive più interessanti e magari realistiche rispetto allo schema meccanico della sostituzione di un “vecchio” con un “giovane” su un posto di lavoro comunque “vecchio”.

La combinazione fra un neo o candidato imprenditore cinquantenne e un ventenne che vorrebbe fare l’imprenditore ma non ha nessuna esperienza di lavoro andrebbe esplorata meglio. Un giovane start-upper digitale da solo rischia spesso di restare una profezia con poche chance di autoavverarsi. Egualmente, un bancario o un commerciale fuori azienda a cinquant’anni possono essere risorse socio-economiche sprecate se non possono mettere a disposizione di una business idea le proprie competenze su come si costruisce un’azienda in carne e ossa e su come i vendono i prodotti e i servizi su un mercato in carne e ossa.

Governo è parti sociali hanno lavorato negli ultimi anni – comprensibilmente – su riforme e strumenti tarati su singole problematiche: il Jobs Act soprattutto per facilitare l’ingresso dei giovani; i nuovi ammortizzatori sociali (principalmente l’ape) per mitigare i paletti della riforma Fornero e creare “ponti” in uscita dal mercato del lavoro fra i cinquantenni e la pensione.

La resistenza delle pantere grigie – da qualunque lato la si osservi e studi – sollecita a non perdere mai di vista la complessità del reale: soprattutto nelle sue opportunità. L'”over 50″ non è un lavoratore “antitetico” a un “less than 24”: considerarlo un “lavoratore obsoleto che continua a rubare il posto a un candidato lavoratore più produttivo e aggiornato nelle competenze” può essere anzi una narrazione politica dannosa. Nei fatti, il “padre” e il “figlio” possono rivelarsi tutor reciproci, in un gioco innovativo che può rompere la barriera della “somma zero” nelle statistiche dell’occupazione. Certo non è facile immaginare politiche attive del lavoro che facciano leva su queste dinamiche. Ma riaccendere una ripresa che di per sé rischia di essere jobless può meritare anche questo sforzo.