Siamo tutti Charlie Brown

Siamo tutti un po' come Charlie Brown, dice RIRO MANISCALCO, incapaci di guardare oltre le apparenze. L'importante è però avere un cuore semplice, proprio come lui

NEW YORK — Ogni volta che vado in Minnesota e guardo i nipotini muoversi in quel mondo di casette e grandi spazi mi vengono in mente i Peanuts di Charles Schulz, immaginati e creati proprio in quel paesaggio lì, nella terra che gli indiani chiamavano “delle acque che riflettono il cielo” e “delle acque nuvolose”. Mentre guardo mi vengono in mente per liberissima ed incontrollabile associazione di idee una serie di strisce dell’autore di Charlie Brown e compagnia, cose lette chissà quanti anni fa ma che la memoria custodisce.

E così mi ritrovo a sorridere tra me e me, talvolta persino a ridere a voce alta, come l’altro giorno.

Se non avete mai letto Charlie Brown, fatelo. Se invece vi è familiare, avete presente quella striscia in cui Lucy, Linus e Charlie sono sdraiati pancia all’aria su una collinetta a guardare le nuvole?

Lucy, saccente e rompiscatole come sempre e come sempre intelligente e provocatrice apre la conversazione:

…con un po’ di immaginazione si possono vedere un mucchio di cose nella forma delle nuvole… a te cosa sembra di vedere Linus?” 

Beh” — risponde il piccolo genio con la sua copertina di sicurezza — “quelle nuvole lassù mi sembrano la carta geografica dell’Honduras Britannico… e in quel gruppo di nuvole là in fondo vedo raffigurata la lapidazione di Santo Stefano… ecco l’apostolo in piedi da una parte… e quella nuvola là somiglia un po’ al profilo di Thomas Eakins, il famoso pittore e scultore…“. 

Uh uh… molto bene…“, commenta quella simpaticona di Lucy. “E tu cosa vedi nelle nuvole Charlie Brown?” 

Beh, io stavo per dire che ci vedo un’ochetta e un cavallino, ma ho cambiato idea!“.

Chi non si è mai sentito un po’ come Charlie Brown? Non vi viene mai in mente che nella vita abbiamo combinato pochino perché più che ochette e cavallini non siamo stati capaci di vedere? Se poi quell’incommensurabile mistero che è la nostra esistenza ci ha riservato una qualche forma di “successo”…forget it, abbiamo tante cose dietro cui poter nascondere il fantasma della nostra pochezza. 

Agli occhi del mondo, ma soprattutto ai nostri perché a differenza di Charlie — che è un debole, ma col cuore semplice — noi siamo piuttosto complicati e non amiamo mostrare le nostre debolezze. Insomma, invece di vedere ochette e cavallini, essere certi di vederli ed ammetterlo, meglio adeguarsi, far finta, cambiare idea, dire che vediamo quel che non vediamo, evitare brutte figure ed omologarci.

Omologarci a chi apparentemente la sa più lunga. Così quella sindrome di Charlie Brown, quel senso di inadeguatezza intellettuale e di inconcludenza esistenziale che si insinua a volte nella nostra autocoscienza sembra poter essere anestetizzato. 

Che cosa vedono i bambini di oggi nelle nuvole?

Proprio ieri un amico mi raccontava di un’esclusiva, celebrata e costosissima scuola di Brooklyn in cui giorni fa una insegnante — la Lucy di turno — radunata la classe con la stessa grazia con cui una mamma raduna un gruppetto di bimbi per farli stendere pancia all’aria su di una collinetta erbosa, ha posto a ciascuno la seguente domanda: “Ma tu, in che gender ti riconosci?”.

Mi auguro che tra tutti i bambini sulla collinetta di quella scuola qualcuno abbia avuto la semplicità di cuore di rispondere come Charlie, un’ochetta, un cavallino… senza sentirsene in colpa, senza sentirsi costretto a vedere quel che qualcun altro vuole fargli vedere.

I bambini non sanno molte cose, ma l’essenziale sì. Io prendo sempre in giro i nipoti dicendo loro che i bambini piccoli non capiscono niente. Well, non è proprio così: conoscono poco ma capiscono l’essenziale. Possono vivere benissimo con la loro curiosa vitalità e la loro capacità affettiva anche senza sapere dell’esistenza dell’Honduras Britannico e di Thomas Eakins. Verrà il tempo anche per quello, ma a cosa servirebbero tutto l’imparare ed il fare se non per dare ancora più slancio alla nostra curiosa vitalità e capacità affettiva?

Per questo le domande son più belle delle risposte. Porre una domanda traccia un’ipotesi di lavoro. Speriamo che ci sia sempre qualcuno che ci aiuti con le sue domande a domandare, guardare, vedere, paragonare con quello che abbiamo nel cuore. Grati anche per le ochette e i cavallini.

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