Ultima cena, ferita aperta

C'è un dettaglio dell'Ultima Cena di Leonardo a cui bisogna prestare molta attenzione: è il secondo gruppo di apostoli da sinistra. E parla a tutti noi. GIUSEPPE FRANGI

C’è un dettaglio dell’Ultima Cena di Leonardo a cui bisogna prestare molta attenzione: è il secondo gruppo di apostoli da sinistra. È lì il vero cuore della scena. Seguendo il racconto di Giovanni, Leonardo si sofferma in modo insolito rispetto alla consuetudine sul versetto 24 (il capitolo è il 31). Cioè gioca di anticipo. Gesù ha appena annunciato che qualcuno lo sta per tradire, la tavolata è stata come colta da una scossa emotiva che rompe le fila. C’è chi si alza e per la concitazione quasi si avventa su Gesù, chi un po’ pavidamente si ritrae; c’è poi il capannello di chi un po’ spaesato cerca di raccapezzarsi circa quello che sta accadendo. 

Solo quei tre sembrano invece lucidi e anche determinati. Il più lucido è Pietro che ha individuato subito la strategia: deve convincere Giovanni, il più amato da Gesù, a farsi dire il nome del traditore. Ed è proprio questo l’istante che Leonardo blocca nel fotogramma della sua Ultima Cena. Pietro ha appoggiato la mano sulla spalla di Giovanni e all’orecchio gli sta dando quel consiglio che suona un po’ come un ordine: nell’altra mano del resto Pietro tiene già il coltello che userà poche ore dopo quando per difendere Gesù da chi lo voleva arrestare, avrebbe tagliato l’orecchio al servo del sommo sacerdote Malco. 

Giovanni ascolta il leader. Ha lo sguardo chinato, già pieno di una infinita tristezza. Si chinerà di lì a poco sul petto di Gesù, ma sembra che per l’intesa profonda che lo lega al Signore abbia pieno presentimento di quel che accadrà. Leonardo, poi, con un colpo di genio, chiude questo triangolo con la figura di Giuda. Tra tutte le figure è l’unica in controluce: ne vediamo solo il profilo nell’ombra, ma basta quello per capire che ormai è caduto prigioniero della disperazione. Con una mano stringe il sacchetto dei denari. Con l’altra sta invece per prendere un pezzo di pane, disponendosi in questo modo, del tutto inconsapevolmente, al segno di riconoscimento che tra qualche istante Gesù avrebbe dato. Tra Pietro, Giovanni e Giuda ci troviamo di fronte ad un triangolo che concentra tutto il dramma, le paure, la ribellione rispetto a quello che stava accadendo attorno al tavolo. È un momento in cui nessuno può più nascondersi, nemmeno Giuda; in cui l’umano viene messo a nudo. 

In genere le rappresentazioni delle Ultime cene prediligono invece l’attimo successivo. Quello in cui Giovanni mette il suo volto sul petto di Gesù e sembra che le cose si possano mettere a posto: il traditore ha un nome, gli altri sono scagionati, forse qualcuno pensa di poter addirittura arginare l’azione del male. È una pia illusione, come le vicende avrebbero dimostrato. Ma un’Ultima Cena così è più consolante per il cuore dei fedeli. E il cuore dei fedeli ha sempre bisogno di consolazione…

Leonardo invece sceglie di lasciare aperta la ferita. Pur con la meravigliosa e slanciata armonia che tutti riconosciamo nella sua composizione è paradossalmente il più inquieto. In questo lo sentiamo anche tanto più moderno (non è un caso che anche un “modernissimo” come Andy Warhol ne sia stato conquistato e ne abbia dipinte decine e decine di varianti). La sua Ultima Cena è quella in cui tutte le domande sono aperte e non è ancora arrivata quell’unica fragile risposta a cui potersi appigliare. È il momento in cui l’onda di un’umanità in subbuglio cerca uno sguardo a cui appoggiarsi. Lo cerca e lo domanda, con le sue (e nostre) povertà e a volte con la sua (e nostra) pusillanimità. Quella di Leonardo non è un’icona. È piuttosto il fotogramma di un film. Un film per il nostro Giovedì Santo di uomini del terzo millennio.

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