Nessuno come Lui. Non c’è uomo, tra gli umani, che abbia inflitto strazio più grande a sua madre di quello procurato dal Cristo a Maria, di tutte le lacrime che ha dovuto cogliere per strada la Madonna. Verso il Calvario, sputi e insulti erano all’indirizzo del Figlio: il dolore fu tutto per Maria. Fu cosa bastarda quella strana mattanza di tutti-contro-Uno: “Da giorni la gente diceva: E’ invecchiata di dieci anni” (Ch. Péguy). Se non la derisero, fu perché tutti la sapevano madre del condannato: per commiserazione, mica per pietà, le fu dato di non vedersi strattonare mentre s’arrampicava sulla scarpata del monte. “Arrampicare” è un verbo verticale: “scarpata” è termine orizzontale, urta verso giù. Arrampicare-la-scarpata fu la missione della Madre più scomoda della storia: salire in altezza per capire l’abisso di quel Figlio trucidato dai governi. Un passo verso l’alto, per andare un passo più dentro e scrutare ciò che, anni prima, meditava nel cuore. Stabat mater dolorosa: “stare” è voce del verbo amare-folle, modalità-costretta, tempistica-immediata. E’ Maria: “Eccomi, sono la serva del Signore” (Lc 1,38).
La via-crucis nacque attorno al Cristo-sfigurato: quattordici stazioni, tappe di sangue, intermezzi di bestialità. Legni, asciugamani, piagnistei. Anche Maria, in quel sanguinolento venerdì, fece la via-crucis. Stette ligia al suo posto: come a Nazareth, Betlemme, Cana, Gerusalemme. Sul Calvario. Scelse di rimanere signora-delle-cime anche nell’orrida mattanza. Invaghita di quell’orrida Bellezza del Figliolo: “L’umiltà delle cose: osserva come si dispongono tranquille là dove le posi, modeste, silenziose, obbedienti” (R. Aceves). L’umiltà delle persone: ci sono donne — e saranno tutte un po’ madonne — che ti fan fare bellissima figura ovunque tu le metta: nell’atrio di una sala operatoria, di fronte alle gelide sbarre della galera, sul ciglio di un tracollo mortale. Nate per correre-dietro al destino di coloro che han portato nel loro grembo, nuova Betlemme: seguono, piangono, capiscono, non capiscono. Non tracollano quasi mai: se sono sul punto di farlo, non lasciano mai trapelare sintomi di cedimenti. Cadranno in guerra, batteranno gli uomini dieci-a-zero per resistenza: quel loro starci è contraerea carica, trave portante, fiuto guerriero. Copie-in-miniatura d’Iddio: a fari spenti, vedono da-Dio.
Gli uomini vedono, le donne prevedono: anticipano, hanno fiuto, tengono su il mondo quando l’uomo s’addormenta. Lungo il Calvario sono la fisarmonica di Cristo: quand’era in vita, erano la sua vacanza-segreta. Finì che, a conti fatti, l’amarono molto più loro di chi gli stette così accanto da pensarsi raccomandato in Paradiso: arriveranno, dopo le donne però. Per gli uomini — quelli che ancora oggi credono più per diritto di sangue che per scelta personale — la via crucis è liturgia del venerdì. La via-crucis, per chi nasce maschio, è salita: in su, a veder morire Cristo. Per chi nasce donna, la via-crucis è anche discesa, andata con ritorno. La Madonna s’arrampicò in compagnia di Cristo, del fattore-pietà. Lassù ognuno scelse che fare: stare, rinnegare. Fine: “Dopo questo, è tutta in discesa, Maria”. Mica sapevano, costoro, che per una madre scendere-senza è assai più duro che salire-con. La seconda via-crucis, che fu solo di Maria, fu via-crucis in discesa: la più orrida, quella senza più il Figlio. Dalla quattordicesima stazione alla prima: rifà il cammino del mattino, senza Gesù sott’occhio. Tutto a parlarle di Lui: il rivolo di sangue, una scheggia di legno, uno sputo di saliva sulla terra.
Di venerdì tanti le fecero compagnia. Sabato rimase da sola: sola nel credere che non sarebbe finita così, non sarebbe andato tutto in-malora: “Una donna ti schiaccerà il capo, tu le insidierai il calcagno” (Gen 3,15). Stette a bordo-strada tutto il sabato. Chi la intravide, iniziò a dubitare della morte: “E se risorgesse? Guardala!” Fu segnale domenicale nella nebbia del sabato: Turris eburnea, avorio. Le litanie sono canzoni di festa: scritti nei sabati dell’angoscia.