NEW YORK — Come se la cava Donald Trump? Siamo al traguardo dei 100 giorni — che saranno anche pochi, ma visto che ormai da decenni vengono presi ad unità di misura per farsi un’idea di come stia andando un presidente neoeletto, they are worth a thought, almeno un pensiero se lo meritano. Parafrasando la classica apertura dei periodici indirizzi rivolti dai presidenti alla nazione — “The state of the Union is strong!”, lo stato dell’Unione è forte! — possiamo tranquillamente dire che “The state of Trump is confused and confusing”, ovvero, lo stato in cui si trova Trump è confuso e confondente.

Cento giorni e l’approval rate, il tasso di gradimento da parte degli americani, è al 40 per cento, il peggiore di sempre per un neoeletto da quando si tengono questi conti, appena superiore a quello di Clinton ai tempi in cui si era scoperto che aveva preso l’abitudine di far accomodare Monica Lewinsky sotto il tavolo dell’Oval Office.

Sembra incredibile, eppure gli stessi sondaggi che lo danno in zona retrocessione ci raccontano anche che oltre il 90 per cento di quelli che l’hanno votato lo rifarebbe. Perché? Perché se Trump appare confuso, i democratici non appaiono neanche, non ci sono proprio, come se non riuscissero ancora a credere di essere stati sconfitti. Gli elettori che sognavano una svolta radicale ci sperano ancora, ma nel frattempo al traguardo dei 100 giorni ci arrivano con un discreto disappunto. Va detto che Trump non è il presidente di tutti. C’è una fetta di nazione che tutt’ora si rifiuta di riconoscerlo ed accettarlo. Non abbiamo più le contestazioni violente dei primissimi tempi, ma resta la dolorosa ed ingombrante anomalia di una ostilità che storicamente si era riscontrata solo con l’elezione di Abraham Lincoln, sappiamo con quali risultati.

Ci sono impressioni e ci sono fatti. La prima impressione è che il presidente Donald Trump, l’unico negli annali ad essere arrivato alla Casa Bianca senza alcuna esperienza né politica né militare, sia appunto spaventosamente privo di esperienza (sia politica che militare). E’ come se avesse per le mani una macchina che non è capace di usare; non ne conosce i comandi, le possibili prestazioni e nemmeno la pericolosità. Insomma, non sa come funziona e la fa viaggiare a strappi come uno alle prese per la prima volta con un cambio manuale, tra frustate d’accelerazione ed impasse in “folle”.

I fatti. Cos’ha fatto Donald Trump in questi 100 giorni? Ha eletto un giudice della Corte suprema (Gorsuch, persona di valore) ribaltando irrevocabilmente il sistema di nomina (con la cosiddetta “nuclear option”); ha abbandonato il Trans-Pacific Partnership Trade Agreement (TPPA); ha cercato di mostrare i denti ad Isis lanciando una superbomba sull’Afganistan; ha punito Assad per l’uso di armi chimiche con un violento bombardamento di quel colabrodo di dolore che ormai da tempo è la Siria; ha abrogato una serie di provvedimenti sottoscritti da Obama (soprattutto relativi alla tutela dell’ambiente: tagli di spesa, rilancio degli oleodotti in terra indiana); ha visto le dimissioni (volenti o nolenti) di alcuni dei pezzi da novanta che erano stati scelti accuratamente per formare la spina dorsale dell’amministrazione; si è ritrovato in mezzo ad una rinnovata sfida con la Corea del Nord farcita di pasticci di comunicazione (con la marina militare, i suoi collaboratori, i media); ha assistito impassibile alle prime lotte intestine tra Steve Bannon, suo guru e stratega, e Jared Kushner, genero trentaseienne nominato Senior Advisor del presidente; ha firmato 25 Executive Orders e fatto approvare 28 proposte di legge con una produttività legislativa persino superiore a quella di Franklin Delano Roosevelt durante la Grande Depressione. Proprio ieri ha annunciato “il più grande taglio delle tasse e la più ampia riforma fiscale della storia degli Stati Uniti”: vedremo. Ognuno è libero di interpretare questi fatti come crede. C’è chi gioisce e chi scuote la testa sconsolato.

Ma quelle che bruciano di più sulla pelle di Donald e dei suoi sostenitori sono le “empty promises”, le grandi promesse non mantenute. Per quanto Trump in questi giorni non faccia altro che ripetere che “i 100 giorni” sono solo una sciocchezza di numero priva di qualsiasi valore, sa benissimo di aver promesso in campagna elettorale che entro quella scadenza tante cose sarebbero già cambiate: uscita dal Nafta (ribadita ieri), avviamento della costruzione del muro al confine col Messico, misure drastiche contro gli immigrati, abrogazione dell’ObamaCare ed introduzione di un nuovo sistema sanitario, riduzioni fiscali. 

Nulla di tutto ciò è avvenuto e in larga misura me ne rallegro. Spero solo che il presidente impari in fretta a guidare questa macchina e soprattutto che capisca dove puntare il navigatore: dove c’è vita, dove c’è libertà, dove c’è ricerca della felicità.

Questa è l’America, and may God bless America.