Il loro paese è quella strada: una strada battuta nell’ora dell’imbrunire. Una strada nella quale due viandanti sfiduciati spezzano tra loro un’ultima briciola di speranza: “Almeno incontrassimo qualcuno per strada”. Coi loro volti da venerdì santo, stanno ancora celebrando la loro via-crucis, quella più funerea: tornano a casa e, rincasando, ogni cosa parla loro di Lui, dell’Amico, di quella stranissima faccenda che aveva riacceso loro il cuore, la carne, l’intuizione.
Vogliono a tutti i costi staccare da quella giornata. S’impegnano, si sforzano, non ce la fanno: ciò che sta loro a cuore è, forse, qualcosa più di un semplice ricordo. Oppure è uno di quelli che scavano solchi e, dentro quei solco, tengono in sequestro il cuore. Per-sempre: complemento di amore assoluto. Non vorrebbero nemmeno più sentire balbettare quel nome – “Gesù, Rabbunì, Signore” – ma continuano a parlare tra loro esattamente di Lui, del Morto a causa del quale sono così trafitti: “Continuavano a conversare di tutto quello che era accaduto” (Lc 24, 13-35).
E’ un Morto strano: è morto, ma non riescono a seppellirlo nella memoria. Sono strani anche loro: “Un’osteria c’è sempre: e, bevendo, si dimentica” (P. Mazzolari). Sono tutti occupati ad avanzare: perché fuggir-via se non si sa dove andare?
L’ultima notizia era stata quella di una pietra rotolata davanti al sepolcro: il Maestro, quando ci riusciranno, verranno a compiangerlo lì, in mezzo ai loculi e ai crisantemi. Quell’Amico, però, impareranno presto che patisce i luoghi chiusi, gli spazi angusti: preferisce ammirare le bocche di leone che si stiracchiano lungo le strade di periferia. Si diletta nel rimettere in sesto i girasoli appassiti, quelli scovati sulla carreggiata che porta a Emmaus: “Che sono questi discorsi che state facendo lungo il cammino?”.
C’è un terzo che sta andando come loro all’osteria: per far due passi assieme, che importa sapere il nome? All’osteria saranno tanti a portare a spasso, al tintinnare dei bicchieri, l’altissima nostalgia dei loro ideali passati: uno-più, uno-meno, che importa? “E’ impossibile che solo tu non sappia ciò che è capitato in città!” “Che cosa?”: la meraviglia non torna mai con lo stesso volto d’allora. Non è Dio a resistere, è Cleopa a faticare a crederci: nessuno mai riuscirà a far vedere ad una persona innamorata ciò che non vorrà vedere, che l’amore che era morto è risorto. “Noi speravamo (ma) sono passati tre giorni”: il tempo non cancella le cose, non le sistema, tre giorni sono un’eternità per chi ha il cuore a brandelli. Sedotti dall’Assoluto, spiegaci tu, viandante-come-noi, come fare ad accontentarsi del relativo. L’unica speranza è scendere in strada e andarsene, con la doppia speranza che questa strada non finisca mai: a casa ci sarà grande vuoto ad attenderci, nessuno ad accoglierci. Il mistero dell’abbandono: “A chi di noi l’albergo di Emmaus non è familiare? (…) Non esisteva più nessun Gesù per noi sulla terra” (F. Mauriac).
Solo un Dio ci potrà salvare: “Sciocchi, tardi di cuore!”. Ancora la sua parola è fresca, l’amore irrefrenabile, il piglio amico. Anche stavolta tocca a Lui obbligarli a dichiararsi. Geniale: fa finta d’andarsene e loro, subito, “Resta con noi perché si fa sera”. A raccontargli ancora un’altra bugia, quella del sole che cala: “Che fai, viaggiatore: adesso scappi pure tu? Tu che, solo, sei stato capace di riaccenderci il cuore! Vieni all’osteria con noi: senza te, torneremo gli sbandati che eravamo oggi”.
Il suo sorriso era un’esca luminosa: aveva perso tutto, era diventato il generale dei cuori. Entrati, scoccò l’ora della Grazia: sono tante le ore della Grazia. Quando s’accorsero, era già troppo tardi: è impossibile arrestare l’amore. Il cuore batteva forte, il pane stava a disposizione sul tavolo: “E gli altri intanto si baciavano solo sulla bocca, ma io ti mangiavo tutte le mattine” (D.M. Turoldo). Vanno all’osteria per dimenticarselo, invece lo trovano: Lui non voleva dimenticarli, non voleva lo dimenticassero. Li ubriacò di Pane.