“Stiamo morendo, per favore, stiamo morendo, 300 persone, stiamo morendo”. È il grido lanciato nel 2013 da un medico siriano, imbarcato con moglie e tre bambini, insieme a tante altre famiglie, nel canale di Sicilia. L’audio è stato diffuso questa settimana dal sito dell’Espresso dando prova del fatto che per ore le autorità italiane e quelle maltesi si rimpallavano la responsabilità del soccorso. Dopo cinque ore di inutile attesa, lottando per non imbarcare acqua, quando la nave italiana ha raggiunto il luogo del naufragio, almeno 268 siriani erano affogati, tra cui una sessantina di bambini, 212 persone tratte in salvo.
Il sangue ribolle. Di fronte a immagini e notizie di persone tra la vita e la morte, sotto bombardamenti, in balia della fame, della violenza, della malattia, del sopruso, come si fa a stare con le mani in mano? È la reazione di testa e di pancia che – fortunatamente – ancora molti hanno. Così, in tanti fanno donazioni alle organizzazioni che sul campo soccorrono i bisognosi, altri ne costituiscono di nuove, altri ancora offrono il loro lavoro. Cosa c’è di più umano? Eppure da tempo un veleno invisibile si sta diffondendo nell’opinione pubblica, quello del sospetto e della diffidenza a priori verso privati cittadini che attraverso Onlus, Ong, non profit e quant’altro fanno della solidarietà il loro lavoro.
Nella vicenda delle Ong che salvano i profughi nel Mediterraneo ora è stato ipotizzato esserci ben altro. Sorvoliamo sul fatto che un procuratore della Repubblica ha rotto la discrezione che dovrebbe accompagnare il lavoro di un magistrato. Le ipotesi che circolano in questi giorni sono: connivenza con gli scafisti, collusione mafiosa, “acquisto” fraudolento di manodopera a basso costo, accordo sporco con servizi segreti di Paesi che avrebbero lo scopo di destabilizzarci.
Niente si può escludere a priori e le indagini sono in corso. Ed è importante che s’indaghi seriamente e si puniscano gli eventuali colpevoli. Certo, alcune Ong non pubblicano i loro bilanci in modo trasparente e certamente sarebbe meglio che lo facessero. Ma intanto la gente muore e chi la aiuta è visto con sempre maggiore sospetto. Francamente appare più grave per le sue conseguenze la generalizzazione che si sta creando: se si tratta di organizzazioni private, non possono essere che a fini di lucro. Ma chi l’ha detto? La maggior parte delle Ong nel Mediterraneo stanno operando in modo eroico e pubblicano anche i loro bilanci con trasparenza. Ma intanto le donazioni a questi enti hanno già subìto un forte crollo. Avevamo già visto a proposito di Mafia Capitale la stessa equazione. Sono coinvolte delle cooperative sociali, ergo le cooperative sociali sono tutte da mettere al bando.
Ma c’è dell’altro. In questi giorni si è sentito dire da più parti che le Ong svolgono il lavoro che dovrebbe essere fatto dagli Stati. Ma chi lo ha detto? Chi ha detto che un’impresa di Stato possa fare meglio di un’organizzazione privata, magari già con alle spalle anni di esperienza benemerita?
Intanto nell’Africa sub-sahariana, guerre, carestie, regimi violenti spingono migliaia di persone ogni giorno a racimolare il poco che hanno, lasciare il loro paese, attraversare il deserto, arrivare in Libia per cercare di imbarcarsi verso quello che sperano essere un porto sicuro: l’Europa. Normalmente nelle famiglie si scelgono i migliori, i più svegli e preparati per partire. A loro toccherà cercare fortuna per la sopravvivenza dei loro parenti. Arrivati in Libia vengono reclusi in veri e propri campi di concentramento e poi imbarcati su gommoni. Il resto, cosa è di questi barconi in mezzo al mare, è purtroppo notizia di ogni giorno.
Quello che forse i più non sanno è che moltissime donne, meglio sarebbe dire adolescenti, partono non prima di essersi riempite di ormoni per evitare di rimanere incinte. Sono ben consapevoli che durante il viaggio – soprattutto quando arriveranno in Libia – saranno violentate. Eppure partono. La disperazione che spinge queste persone a partire arriva a questo punto.
Anche solo sapere quello che succede loro, in qualche modo, è insopportabile. Non sarà che proprio per cercare di evitare di guardare in faccia questa realtà, stiamo cercando di buttare un po’ di fumo negli occhi? Il fumo del sospetto e del discredito verso chi li aiuta.
Comprensibilmente, molti qui si sentono minacciati. L’altro ieri il ministro Marco Minniti ha detto che “la sicurezza è un problema che colpisce i deboli. Perché i ricchi la sicurezza se la comprano”. Uno Stato e una società civili non possono non tutelare i più deboli. Ma siamo sicuri che la zona più ricca del mondo, l’Europa, con 500 milioni di abitanti non sia in grado di integrare in modo sicuro qualche milione di profughi?