Né una leggenda rosa, né una nera sull’Islam. Né manicheismo, né buonismo. Valorizzazione dell’esperienza religiosa, riconoscimento realistico dei rischi e delle sfide che i seguaci di Maometto hanno in questo inizio di XXI secolo: il discorso Francesco all’evento organizzato dalla moschea di al-Azhar, durante la sua visita al Cairo, è un chiaro riferimento per i cristiani e i non cristiani che vedono con logico timore la forza del jihadismo, che vogliono vedere crescere la libertà e i diritti nei paesi a maggioranza musulmana.



Prima ancora un gesto. Francesco ha abbracciato Ahmad al-Tayyib, imam della moschea. Un abbraccio denso di significato. Al-Azhar nel 2011 ha cominciato a pubblicare una serie di documenti che hanno rappresentato, con tutti i loro limiti, un’apertura nel mondo islamico. Sei anni fa, ha condannato “l’indagare nella coscienza dei fedeli” (che è una possibile formulazione a sostegno della libertà religiosa), cinque anni fa ha parlato della libertà di pensiero e del diritto di cittadinanza (muwatana), tre anni fa ha condannato l’uso dell’Islam per attaccare i cristiani, e poco più di un mese fa si è espressa ancora una volta a favore di un’uguaglianza tra tutti i cittadini (anche se non cristiani). Quest’ultima cosa implica andare al di là delle disposizioni della Costituzione di Medina, attribuita a Maometto, che include formule di tolleranza molto restrittive.



Ci sono voci, molto autorevoli, che considerano tutte queste dichiarazioni come un cinico esercizio di propaganda. Nonostante le buone parole, al-Azhar starebbe predicando nella sua università l’intolleranza. La grande moschea sarebbe sotto l’influenza del wahhabismo saudita e alimenterebbe il radicalismo. Nel migliore dei casi, gli imam delle moschee ordinarie avrebbero una posizione diversa. Non c’è dubbio che la questione è complessa. All’interno di al-Azhar coesistono correnti diverse, per non parlare di quelle all’esterno. Ma Francesco ha voluto partecipare all’incontro. E il suo intervento è stato preparato nel mese di febbraio da un congresso dedicato agli estremismi cui ha partecipato il cardinale Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Tauran è certamente un uomo buono, ma non un ingenuo.



Consapevole di tutto questo, Francesco ha iniziato e finito il suo discorso sottolineando il valore di un’educazione autenticamente religiosa: abbiamo bisogno di “giovani che, come alberi ben piantati, siano radicati nel terreno della storia” e crescano “verso l’Alto”. Francesco, come ha fatto in altre occasioni, ha preso le distanze da un certo occidentalismo laicista che demonizza l’Islam. Questo pregiudizio ideologico, nella sua forma più estesa, afferma che l’Islam è necessariamente violento. Ci vorrebbe quindi una Pace di Westfalia, come quella che c’è stata in Europa, per i paesi a maggioranza musulmana, che rendesse una cosa privata la religiosità e riducesse le dosi di Islam. Con un’espressione semplice Francesco ha sottolineato che “la religione non è un problema, ma è parte della soluzione”. Non ci vuole meno religione, ma una religione più autentica che non confonda la sfera religiosa e quella politica “senza opportunamente distinguere”.

Ci sarà chi, di fronte a questo invito rivolto a un leader musulmano, sentirà crescere il suo scetticismo. Non è facile certamente, se si fanno certe interpretazioni letterali del Corano. Ma nel primo Califfato di Omeya (661-750) in qualche modo si riuscì a tenere distinti sacro e profano. L’influente scrittore egiziano Farag Foda, scomparso 20 anni fa, ha sempre sostenuto che l’Islam è religione e non Stato. La terra dei faraoni è piena di intellettuali musulmani che difendono l’elmaniyab (una certa forma di secolarizzazione del potere) e il processo in corso in Tunisia è emblematico. Il Papa non predica nel deserto.

D’altra parte l’insistenza di Francesco nello slegare la violenza dalla religione è costante e mostra che ha ben presente il crocevia a cui si trova l’Islam sunnita, la tentazione che non consente di costruire leggende edulcorate. “La violenza, infatti, è la negazione di ogni autentica religiosità”, ha detto. Per poi aggiungere: “Insieme affermiamo l’incompatibilità tra violenza e fede, tra credere e odiare”. E se non fosse stato ancora chiaro, ha anche insistito sul fatto che “in quanto responsabili religiosi, siamo dunque chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità”. Che è come dire che ancora non si è fatto abbastanza per smascherare lo jihadismo.

Il complesso mondo dell’Islam da quarant’anni è avvolto in una tempesta perfetta. La vittoria della rivoluzione iraniana, la svolta data da Sadat a metà degli anni ’70 in Egitto e la crescente influenza dell’Arabia Saudita hanno portato a una grande avanzata dell’islamismo politico. L’invasione dell’Iraq e la guerra in Siria hanno messo fine al panarabismo laico. Lo jihadismo è stato progettato con le categorie occidentali della rivoluzione e alimentato negli ultimi dieci anni dal nichilismo e dal malessere generato dalla globalizzazione. Non c’è un bianco, né un nero, è tutto pieno di sfumature. Entrare in quel mondo con schemi ideologici è un grande errore. Francesco lo ha reso chiaro.