Curiosa la vicenda di Ismail Tommaso Ben Youssef Hosni, il ventenne che l’altra sera si è reso protagonista di un’aggressione a danno di due agenti presso la Stazione Centrale di Milano. Doveva essere il primo volto del radicalismo islamico italiano, il nostro primo terrorista dalla biografia perfetta: italo-tunisino, padre e madre pregiudicati, vissuto sempre tra l’Italia e il nord Africa, senza fissa dimora, già fermato dalle autorità del nostro paese per spaccio. 

Poi però gli agenti che lo hanno immobilizzato, non l’hanno ucciso come è accaduto a tanti altri terroristi all’estero e lo hanno fatto parlare. Ha dialogato con gli inquirenti e col suo avvocato. In meno di ventiquattr’ore il nostro terrorista è così diventato un giovanotto della sua generazione, che ammette di sentirsi solo, dispiaciuto e arrabbiato proprio come i nostri ragazzi dopo aver combinato qualcosa di un po’ troppo sopra le righe. E improvvisamente gli aggettivi che ne connotano la nazionalità assumono un altro significato. 

Italo-tunisino. Tunisino, testimone di un fallimento delle politiche migratorie europee. In un’Italia che paradossalmente accoglie più e meglio degli altri, ma che poi sceglie due strade pessime per proseguire l’accoglienza: o la coabitazione — con la creazione di vere e proprie zone ghetto — o l’integrazione — con l’illusione che quando gli altri si comportano come noi allora il problema migratorio potrà essere considerato risolto. Non è così. E accanto a queste pratiche umanitarie che a volte servono più che altro ad arricchire le tasche di chi sull’accoglienza e sull’integrazione ha costruito un suo business, ce n’è una che invece manca: l’incontro. 

O chi arriva, vive, nasce e cresce nel nostro paese incontra noi che qui ci abitiamo e siamo popolo, ci incontra davvero fino a entrare in rapporto con noi, oppure l’arrivo degli stranieri — pochi o tanti che siano — si rivelerà sempre come l’anticamera di una tragedia. 

E qui entra in gioco la seconda parola che attraversa la vita di Hosni: italiano. Italiano per il nulla, la noia e il dolore che vive, italiano per la violenza con cui decide di trattare se stesso e chi lo circonda, italiano per il vuoto che lo abita e che lo agita. E’ questa la storia perfetta del migliore prodotto di questa generazione: un Io arrabbiato e disperato, ostaggio del proprio male e in balia di chiunque gli possa dare un po’ di sicurezza. 

Forse l’altra sera gli agenti alla Stazione Centrale non hanno fermato un terrorista, forse hanno semplicemente preso in custodia il nostro tempo, la nostra società, il nostro paese. E la cosa peggiore è che, dopo quasi due giorni, non sanno ancora che cosa dirgli.