Le cose vanno relativamente bene in Spagna. Il Governo di Rajoy subisce qualche sconfitta in Parlamento, ma resta in sella e porta avanti la politica di bilancio. L’economia, secondo Bruxelles, sarà la più performante dell’Eurozona, con una crescita del Pil pari al 2,8%. Il deficit è sotto controllo e il problema della disoccupazione non è risolto, ma è in miglioramento. Senza populismi di destra, senza xenofobia e con un populismo di sinistra (Podemos) fermo a 5 milioni di voti, la Spagna sembra un paradiso nell’Europa in agitazione. Inoltre, il referendum secessionista catalano non si terrà e i partiti indipendentisti saranno impegnati per un po’ a risolvere le proprie contraddizioni interne.

Le cose vanno relativamente bene in Spagna, se non fosse che quasi ogni mattina esce una nuova rivelazione sui casi di corruzione che riguardano il partito di governo. Rajoy stesso dovrà testimoniare alla fine di luglio. Si tratta di casi di presunti finanziamenti illegali, di vergognoso arricchimento personale di esponenti del Pp (soprattutto a Madrid). Va tutto bene, quindi, salvo una preoccupazione sulla corruzione, che alimenta, nel lungo periodo, il populismo e la polarizzazione tra coloro che considerano inaccettabile che il Pp non si rinnovi (viste le responsabilità del passato) e quelli che, per paura di quello che potrebbe succedere, sono disposti a voltarsi dall’altra parte in nome della stabilità. La corrente avanza in modo silenzioso, allontanando gli spagnoli dal loro stato naturale di moderazione e riducendo le chance della socialdemocrazia classica: il risultato delle primarie del Psoe ne è una prova.

Il Pp non può considerarsi vittima di un sistema giudiziario squilibrato o di qualche “giudice star”. Più che altro è vittima di se stesso, dei suoi anni al potere, del deficit antropologico di alcuni suoi leader e di un modello di partito lontano dalla società e dall’esperienza dei cittadini. Il Pp, come la maggioranza dei partiti spagnoli ed europei, è un’organizzazione verticale, con scarso contenuto ideale, focalizzato quasi esclusivamente nell’occupazione del maggior spazio possibile dentro e fuori le amministrazioni e con un contatto con gli elettori (sempre più anziani), mediato dal marketing elettorale, che non lascia spazio all’aria della società civile.

Non si capirebbe bene questo “inconveniente” della corruzione, che polarizza e radicalizza, se lo si riducesse a un problema etico. Alla sua origine c’è una concezione della democrazia in cui la componente liberale ha eclissato totalmente quella repubblicana o popolare. E, secondo la concezione liberale, il fine della politica è mantenere in piedi uno Stato che faccia da arbitro nel mercato, che metta ordine nel libero gioco degli interessi privati, tutelando i diritti soggettivi dei cittadini (concepiti come individui). Tale concezione non è propria solamente dei partiti strettamente liberali o conservatori, ma è stata assunta anche dai partiti socialdemocratici. I quali sono stati più sensibili alla parte riguardante i diritti soggettivi e gli obblighi dello Stato nel campo del welfare. 

Gli uni e gli altri in ogni caso concepiscono la politica solamente come la capacità di disporre di potere amministrativo. Il fattore popolare o repubblicano, al contrario, non accentua tanto la dimensione di mediazione della politica, ma il suo obiettivo di socializzazione, di creazione di una comunità. Le libertà non sono solamente negative, ma strumenti di dialogo, di costruzione comune, di un costruirsi e ricostruirsi della società. In questa visione delle cose, la società civile conta molto, risulta essere una realtà con un’identità propria rispetto allo Stato e all’economia lucrativa.

In ogni democrazia sono presenti i due fattori, quello liberale e quello repubblicano o popolare. Ma nella democrazia spagnola, come in tutte quelle europee, il fattore comunitario, intenso nel momento fondante, è andato perduto. In un’atmosfera “puramente liberale” è molto più facile che cresca la corruzione: l’assolutizzazione del controllo amministrativo come obiettivo lascia l’etica in uno stato di solitudine che richiede uno sforzo titanico per evitare la distrazione di fondi.

Non si può guardare dall’altra parte. Ma la sfida non si risolve solamente con più misure di controllo o con richiami generici alla rigenerazione morale. Senza un rafforzamento dell’elemento repubblicano o popolare tutto resta sul frustrante piano del “dovrebbe essere”. Lo studio “La voce della società di fronte alla crisi”, pubblicato alcuni giorni fa dal sociologo Victor Pérez Diaz, evidenzia il compito da portare a termine. L’impulso civico è insufficiente: solo il 23% degli spagnoli partecipa attivamente a un’associazione. Senza la società civile, senza costruzione dalla base, tutto lo spazio è occupato da partiti liberali (di destra o di sinistra), partiti senza popolo, molto deboli contro la corruzione.