Da un lato folle in pellegrinaggio per venerare le reliquie di san Nicola di Bari ospitate nella cattedrale ortodossa di Cristo Salvatore a Mosca, in un’atmosfera di devozione e miracolismo un po’ fuori dal tempo – e dall’altra la prosa dei conflitti quotidiani, in cui sembra che credenti e non credenti abbiano la stessa logica, molto mondana, di far valere i propri diritti e conquistarsi un posto al sole.
Lo si vede bene, dalla rabbia e dalla voglia di alzare muri destata dalla strage di Manchester, fino allo scalpore suscitato nell’opinione pubblica russa dalla recente condanna a 3 anni e mezzo (con la condizionale) di Ruslan Sokolovskij, un ventenne siberiano colpevole di essere andato a giocare a Pokemon Go dentro una chiesa ortodossa e di essersi ripetutamente dichiarato ateo e miscredente sui social.
Ha fatto scalpore che a denunciare il ragazzo sia stato un sacerdote ortodosso, preoccupato di non permettere “irrisioni dei sentimenti dei credenti”, e questo ha riaperto lo scontro fra gli ambienti tradizionali della Chiesa e il mondo laico. Ma, al di là delle stumentalizzazioni che ne sono state fatte, l’episodio ripropone la domanda sulla reale possibilità della fede di dialogare con il mondo di oggi senza necessariamente anatemizzarlo, sull’inaccettabilità – per molti cristiani – dell'”ingiustizia” insita nella misericordia, e mette in luce la terribile fatica che noi tutti facciamo a perdonare. Vien quasi da chiedersi se la fede sia realmente in grado di reggere la sfida della realtà quotidiana, della storia personale come della grande storia.
Poi ti capita tra le mani un libro come quello che presenteremo alla “Biblioteca dello spirito” di Mosca lunedì prossimo, e ti imbatti inaspettatamente nella risposta. Sul fondo trovi il cielo, del diacono Kirill Markovskij, è una raccolta di lettere, poesie e disegni di ergastolani, gente che si è resa colpevole di reati gravissimi ed è detenuta nelle cinque colonie penali a regime speciale esistenti sul territorio della Federazione Russa, in località remote, ben alla larga dai grandi centri.
Padre Kirill ha dedicato quindici anni della sua vita a lavorare con queste persone, mantenendo un contatto epistolare e, nella misura del possibile, facendo loro visita. Ne è nato questo testo, scritto a più mani da lui insieme ai suoi interlocutori, che costituisce nel suo insieme una potente testimonianza della forza del pentimento dell’uomo e della misericordia di Dio.
Kirill Markovskij, laureato in geologia, nel 2004 ha fatto una scelta di vita radicale diventando diacono e andando a lavorare nella parrocchia di San Nicola a Birjulevo, uno dei quartieri di Mosca in cui si consiglia in genere di non mettere piede, per i gravi contrasti etnici e i pesanti regolamenti di conti fra clan che periodicamente vi si verificano. E a questo punto, per far compagnia ai suoi “parrocchiani”, ne ha seguito qualcuno anche nel carcere e lì ha stretto nuove amicizie, secondo una rete che in questi quindici anni si è allargata a macchia d’olio.
Il diacono Kirill e il suo parroco, padre Michail Potokin, hanno dovuto decidere di cambiare logica, di non soppesare difetti e virtù ma di puntare sull’uomo, di scommettere su ciascuno riprendendo ogni giorno lo sguardo con cui Cristo ha guardato Zaccheo, la Maddalena, Pietro… Come leggiamo nel libro: “Non ci capita spesso di pensare a come vivano giorno per giorno nelle colonie a regime speciale persone, magari giustamente respinte dalla società, condannate a non ritornare in libertà fino alla fine dei propri giorni. Anche quando vengono seppellite, hanno soltanto delle targhette con un numero, senza nome. Eppure hanno alle spalle le storie più diverse… In che inferno vivano, chi di loro grazie alla forza della fede in questo inferno sia riuscito a trovare la luce, e possono queste persone contare sulla nostra compassione e misericordia: questi sono i temi e gli interrogativi su cui ci sembra importante riflettere insieme ai nostri lettori”.
Quando si sente parlare padre Michail o il diacono Kirill del quartiere in cui vivono, si capisce che quella è la loro casa e la loro gente, e che anche un contesto così drammatico possa diventare un luogo di umanità. Così, tra gli ergastolani o nella banlieue moscovita, diventa realtà un’immagine cara a papa Francesco (l’ha ripetuta anche pochi giorni fa, di ritorno da Fatima): “La pace è un dono artigianale nelle mani degli uomini”, perché spetta a noi, ogni giorno, lavorare sul dono ricevuto. Per cambiare, un uomo ha bisogno di essere guardato con speranza, per il bene che rappresenta.
È il tesoro custodito nella Chiesa, come ci aveva ricordato lo stesso padre Michail, in una testimonianza dell’autunno scorso: “Che il peccatore possa essere trasformato per compiere azioni giuste, è forse il fatto più sorprendente. Rimaniamo peccatori, persone che vedono i propri difetti, le proprie indegnità, persone inadeguate, deboli, ma nello stesso tempo, stando insieme a Cristo, diventiamo diversi… quando viviamo uniti a Lui, tutto diventa realmente diverso; il nostro cammino prosegue, andando oltre anche il bene che possiamo fare, perché l’unico, vero fine che possiamo porci è Cristo stesso”.