Nel giro di pochi mesi, forse settimane, verrà convocato un secondo referendum riguardante una secessione all’interno dell’Unione europea. Il primo è stato quello della Scozia nel 2014, il secondo sarà quello della Catalogna. Nulla impediva ai membri del Regno di Scozia, unito all’Inghilterra nel 1707, di votare tre secoli più tardi su una possibile separazione. Nel caso della Spagna, il divieto è contenuto nella Costituzione del 1978. La libertà di pochi non può essere esercitata senza fare i conti con il sovrano, ovvero il popolo. Ma quando le acque si calmeranno, bisognerà trovare uno sfogo al “desiderio di decidere” (la libertà) di molti: le costituzioni non sono eterne.

Nei giorni scorsi abbiamo scoperto il progetto della cosiddetta “legge di disconnessione”, un testo top secret che il governo della Catalogna ha preparato per dichiarare unilateralmente l’indipendenza. Madrid non permetterà che il governo indipendentista apra le urne per un referendum che è stato bocciato dalla Corte costituzionale. Sulla carta, secondo la legge di disconnessione, verrebbe creata in modo unilaterale la Repubblica di Catalogna che diventerebbe titolare dei beni dello Stato spagnolo sul territorio, assumerebbe dei propri funzionari e nominerebbe i giudici. Lo spagnolo non sarebbe più la lingua ufficiale.

Con ogni probabilità, niente di tutto questo accadrà. In realtà, i partiti che sostengono l’indipendenza si stanno preparando per le elezioni regionali in seguito all’annullamento della consultazione da parte della Corte Costituzionale. Erc, la formazione che secondo tutte le previsioni vincerà, rimanderà per un po’ l’agenda indipendentista. Tutti i sondaggi mostrano che la Catalogna è divisa a metà tra coloro che vogliono e coloro che non vogliono l’indipendenza (con un vantaggio di quattro punti dei contrari). Circa un 70% dei catalani rifiuta l’idea di una dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Ma i sostenitori del referendum, se legittimo, superano il 70%. Insomma, c’è un’ampia maggioranza di persone che vorrebbe decidere.

Nel corso del tempo siamo diventati sempre più consapevoli che in democrazia non si possono tenere in piedi valori che, per quanto essenziali, non siano evidenti al sovrano, cioè al popolo. Ciò non significa che in una democrazia tutto è sempre a disposizione di qualunque maggioranza. La Costituzione, come patto fondativo, stabilisce il canale attraverso il quale il sovrano, il popolo, vuole che si comportino le maggioranze. Il principio di auto-limitazione delle libertà vale anche per la definizione di chi è il sovrano stesso: una minoranza non può andare contro la maggioranza del popolo della Spagna costituzionalmente definito.

Ma le costituzioni non sono immutabili. Thomas Jefferson sosteneva che la durata massima di una costituzione dovesse essere di 19 anni: una generazione non poteva imporre a quella seguente il patto fondativo. È certamente un’esagerazione, ma il fatto è che le costituzioni finiscono per essere riformate dalla forza degli eventi. Se sono flessibili, la riforma è formale. Se sono rigide smettono di essere in vigore o si cambiano “dalla porta di servizio”. La Costituzione spagnola del 1978 è un esempio di riforma “dalla porta di servizio”. La turbolenta storia del XIX e XX secolo non sembrava raccomandare riforme epocali. Tuttavia, anche se il testo di 40 anni fa rimane lo stesso, attraverso le disposizioni della Corte costituzionale e la legislazione, la sua interpretazione è cambiata sotto molti aspetti in modo sostanziale. La volontà del sovrano cambia.

E anche se il popolo catalano non è sovrano, i cambiamenti in Catalogna sono evidenti. Si potrebbe sostenere che la Spagna del ’78 è la più antica nazione in Europa e che dai tempi dei Re Cattolici c’è stata un’unità elementare. O che il desiderio che venga rispettato il diritto di decidere è stato indotto da un potere che ha agito dall’alto. La storia non offre mai un fermo immagine e se l’evidenza del valore dell’unità è scomparso, occorre chiedersi il perché. Perché nazione e Stato hanno smesso di essere identificati? Perché la nazione spagnola come progetto culturale del presente e del futuro è stata assente dalla Catalogna?

I fatti sono testardi: c’è un desiderio diffuso di decidere. Decidere non in malo modo, ma decidere. Per questo è necessario immaginare una riforma costituzionale che si adatti a tale desiderio e che, allo stesso tempo, eviti la rottura. La riforma costituzionale rispetterebbe la libertà del sovrano, il popolo, e la libertà di chi vuole votare. Le formule esistono e si potrebbe anche in ultima istanza aprire un processo simile a quello della Corte costituzionale canadese del 1998, che ha messo in chiaro che non esiste alcun diritto alla secessione, ma un referendum con larga partecipazione e un’ampia maggioranza a favore della stessa avrebbe fatto iniziare dei negoziati. Non c’è stato da allora più un referendum sulla secessione del Québec, ma è stato un buon modo per mettere il Quebec di fronte alla sua libertà. Dire solamente no non è mai la soluzione.