Da una conversazione in cucina: “Eh sì, adesso ci sono tanti stranieri a Mosca, non è più come ai bei tempi… peccato! Allora potevamo fare tutto quello che volevamo, adesso ci sono questi falsi miti della libertà… Non esiste la libertà, si illudono!”.
È una ben amara filosofia quella della signora moscovita, che della libertà ha potuto cogliere solo che è “un falso mito”; per altro, l’appartamento chic e i mobili d’importazione le rendono sicuramente più accettabile la situazione. Ma se la libertà è un’invenzione, come la mettiamo con l’altro mito, quello del luminoso passato sovietico per cui la signora nutre invece grande nostalgia? “Ho sentito alcuni dire che in Unione Sovietica si stava male: fandonie! Chi voleva fare carriera, faceva carriera; chi si voleva battezzare, si battezzava: scelte di vita… Eh sì, qualcuno è morto… ma sono sempre scelte di vita, erano liberi di scegliere se vivere o morire”.
Una paradossale verità. Tanto cinismo in una persona normale dice, nella migliore delle ipotesi, l’infinita lontananza tra i discorsi e le cose reali, le persone, i fatti.
Del resto la mitopoiesi, la “giustificazione” a posteriori di qualsivoglia fatto o persona, sta avendo grande diffusione ovunque, che si tratti di Stalin, di Ivan il Terribile, di Rasputin, dell’Europa non unita o dello sport di una volta. Ogni obiezione dettata dal buon senso e dalla conoscenza storica trova un limite invalicabile nell’affermazione ultimativa: “per me è così”. Ma c’è anche l’altra faccia di questo relativismo, più delicata e problematica ma altrettanto deformante.
Qualcuno su Facebook ha osservato di recente che nei cimiteri russi si vedono sempre più spesso tombe di ufficiali del Kgb e assimilabili con tanto di croce e frasi devote. Risponde qualcun altro: “E che c’è di male? Erano credenti anche loro … magari il loro lavoro non era molto cristiano, ma per i gendarmi è sempre stato così, non dipendeva dalla loro volontà, era la politica del governo”. Il dialogo si è interrotto con la risposta: “Se non capisce la differenza… è inutile che gliela spieghi”.
Hannah Arendt aveva già scritto a suo tempo a proposito dei fedeli servitori dello Stato che eseguivano con cura il loro dovere senza interrogare la coscienza e la libertà, e in fondo senza nemmeno credere fanaticamente nell’ideologia dominante… ed ecco che ancora oggi qualcuno trova tutto questo legittimo. Anche qui si intravvede una grande lontananza dalla vita vissuta e dalle persone concrete. Non servono gli argomenti, la logica, la storia: le parole dimostrano una grande impotenza e un’insuperabile ambiguità.
Si possono dire tante cose con accenti di verità, di verosimiglianza, persino con forza morale ma il fatto che vengano dette praticamente uguali da opposti schieramenti ci confonde e ci smarrisce. Come dare il giusto valore a quel che raccontano del mitico Ernesto Che Guevara, stimabile nella sua totale dedizione alla causa del popolo, se non possiamo vagliare in queste memorie toccanti come si intersecavano in lui lo slancio umano, il sacrificio e la fredda soppressione dei nemici?
Non è una questione che si risolve coi discorsi, evidentemente. Solo la vita, dicevano i Padri della Chiesa, non può essere contestata da nessuna parola. È una posizione cui non siamo abituati ma a cui è necessario tornare. In Russia, da 18 anni, l’Associazione Memorial cerca, proprio per questo, di educare gli studenti a recuperare questa posizione di fronte a un passato talmente contraddittorio e doloroso, che è ancora terreno di lotte dilanianti: studiare la storia di famiglia, del paese, ricostruire i nudi fatti, ascoltare le voci, questo è l’oggetto di un concorso annuale per le scuole.
Quest’anno, secondo le dichiarazioni di Memorial, il ministero dell’Istruzione ha cercato di scoraggiare ragazzi e insegnanti a partecipare, qua e là è corsa anche qualche velata minaccia. Ma il giovane vincitore Danil Simonov, che ha preso molto sul serio l’impostazione del concorso e ha scavato fino a ritrovare i fatti senza fermarsi alla vulgata, alle impressioni, ai pregiudizi, non si è lasciato impressionare quando lo hanno “sconsigliato” di andare a ritirare il premio. Per lui le parole che aveva scritto avevano un peso. Quindi ha risposto pubblicamente: “Lei mi ha chiesto se mi sono trovato in imbarazzo quando ho saputo delle pressioni del Ministero… Ma no, io sto con la verità. Non ho bisogno di avere paura”.