Sabato mattina. Un amico manda un messaggio ad una chat comune con contenuti apocalittici, più o meno questi: siamo in balia di ondate di disperati senza controllo e i politici sono approfittatori inutili che vivono alle spalle di tutti. Eppure è persona per niente sprovveduta, sa bene che la realtà è sempre complessa e che l’emotività è cattiva consigliera, va e viene e prima o poi prescinde dal dato di realtà.

Mi chiedo cosa stia succedendo. Sulla rete, soprattutto nelle enclave chiuse dove ci si galvanizza tra persone che la pensano allo stesso modo, se ne sentono di tutti i colori. Il massimo del minimo lo si raggiunse quando qualcuno, pubblicamente, disse che bisognava votare con la pancia, non con la testa. D’altra parte, è anche vero che, anche se in maniera più silente, un mare di persone sa esprimere il suo disappunto in modo più utile e costruttivo. Comunque, non posso fare a meno di pormi una domanda: senza un po’ di fiducia dove si arriverà?

Ad un certo punto si è cominciato a dipingere un paese senza chiaroscuri, ma solo in nero: la scuola fa tutta schifo e l’università è solo luogo di baronaggio e nepotismo; le grandi imprese pubbliche rimaste sono corrotte; le piccole imprese tutte da rottamare; le non profit e le Ong luogo di malaffare; i dipendenti pubblici, tutti fannulloni; il Sud è solo mafia; gli immigrati sono terroristi o portatori di salvezza senza distinzioni; l’Europa è l’unica origine dei nostri mali oppure entità a cui vendersi senza discutere.

In molti casi si prende spunto da fatti reali, ma la narrazione sancisce quanto la nostra sia una democrazia immatura, se non ammalata, perché si è smarrita la capacità di distinguere, di ragionare, di approfondire, di essere puntuali e non banali, di criticare con il fioretto anziché con la clava.

In sostanza, si è ereditato non il meglio delle ideologie del secolo scorso, ma il peggio: discredito, maldicenza, “tanto peggio tanto meglio”.

Questa non vuole essere la difesa d’ufficio di ciò che non funziona nel nostro Paese. E negare che ci sono problemi sarebbe un’assurdità.

Ma bisogna essere consapevoli che c’è un modo di trattare i problemi che impedisce di affrontarli e contribuisce ad affossarci sempre più.

Il problema è grave, tanto più perché tra pochi giorni molte città saranno chiamate alle urne per eleggere i rappresentanti delle amministrazioni locali. Anche un’analisi accurata di programmi e persone, come potrà aiutare a scegliere un candidato, se “tanto sono tutti uguali” e niente cambierà?

Anche programmi e idee che sulla carta appaiono validi, come possono essere portati avanti se sono usati come una clava per prendere le distanze da qualcuno?

Insomma, il punto è: la vita, la realtà, è solo qualcosa da cui difendersi?

C’è una strada alternativa per scegliere ed impegnarsi?

La situazione è tutt’altro che semplice, e la sfiducia è comprensibile, e forse dico una banalità se faccio notare che girando l’Italia, incontrando persone e conoscendo iniziative, si scopre che la realtà è molto più variegata di quanto sembri e che è possibile ricominciare perché c’è molto di buono da cui partire. Non penso a numeri e statistiche, ma a quello che ho avuto modo di vedere e sentire.

Tante scuole si stanno rinnovando per essere più efficaci nell’introdurre i ragazzi nel mondo del lavoro, le università italiane garantiscono ancora un’ottima preparazione, tante aziende pubbliche e private sono delle eccellenze, moltissime piccole e medie imprese private hanno svoltato e aumentano dimensioni e fatturato. Ci sono coraggiose non profit e Ong che ogni giorno ridanno speranza a un mare di bisognosi.

Perché non si può muoversi e decidere in base all’esistenza di questi fatti esistono? Perché vecchi e nuovi partiti, rinunciando a tribuni di plastica e a inganni populisti, non si fanno interpreti e portavoce di questi fatti sostenendoli e incrementandoli?

Il vero problema allora sta tutto nel riprendere coscienza di sé, del nostro personale desiderio di contribuire al bene comune, di servirlo, con gratuità. Sembra una pia illusione. Eppure è lo spirito che, pur tra tanti errori e contraddizioni, ha costruito il nostro Paese lungo tutta la sua storia. Senza questo spirito, rimangono, appunto, solo errori e contraddizioni.

Se tornerà a diffondersi questo spirito di libertà, di rischio e di fiducia, potremo tornare a vedere anche la costruzione di nuove opere. E “pubblico” tornerà a significare “teso al bene comune”, e di esso faranno parte sia realtà statali che private. In quel partenariato che è il vero futuro soprattutto per le amministrazioni locali.

Così, forse si riuscirà a riscoprire che ogni “altro”, sincero e vero, è una risorsa per tutti, come raccontava Luciano Violante a proposito di un episodio emblematico a cui aveva assistito in Parlamento. Mentre un politico parlava, veniva interrotto e insultato da un parlamentare di un altro partito. Ad un certo punto il suo capogruppo si è avvicinato e gli ha detto: quando la sessione finisce tu vai, ti scusi e gli offri un caffè e instauri un dialogo con lui perché con questa persona devi imparare a lavorare.

Sono passati i giorni della ricorrenza della strage di Capaci, ma è utile ricordare uno dei moniti più importanti di Giovanni Falcone: “la cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, ma l’anticamera del khomeinismo”.

Il buio che avanza è quello che prende possesso dei nostri cuori e delle nostre menti.