Primo, il tema su nuove tecnologie e lavoro. Lo hanno scelto il 38 per cento dei candidati alla maturità, e pare sia un record. Secondo, al 17 per cento, il tema sul progresso, avendo come spunto di riflessione una frase di Boncinelli che distingue tra progresso materiale e progresso civile. Terza la traccia artistica su natura amica e natura come minaccia, al 14 per cento. Quarto il tema che è stata la sorpresa di questa tornata: quello che prendeva spunto da una delicata, bellissima poesia di Giorgio Caproni, anche questa proiettata sul prossimo futuro (12 per cento). Alle altre tracce sono rimaste le briciole (buono comunque il lavoro del ministero: i temi non erano banali e soprattutto sembravano avere tutti un mood comune).
La classifica è indicativa. Innanzitutto ci dice che i ragazzi hanno soprattutto la questione del loro domani nella testa: tre delle quattro tracce sono tutte proiettate sul che ne sarà di noi e del mondo. C’è una perplessità sull’oggi, per cui non resta che la speranza di un’ipotesi di lavoro sul domani. Il presente sembra davvero una causa persa; meglio mettersi già al lavoro per il tempo che verrà.
Naturalmente il colpo d’ala a questa maturità l’ha dato il grande Caproni, uno dei più sinceri intellettuali italiani del dopoguerra. Un uomo che con la sua poesia non fa mai sconti, che si mette sempre a nudo; davvero un “franco cacciatore” come testimonia il titolo della sua più famosa raccolta. La poesia di Caproni, tratta da un suo libro uscito postumo (“Res amissa”, ovvero la cosa persa) è struggente per la semplicità e l’autenticità del dolore che li pervade. I versi scorrono innamorati, annotando dettagli scovati negli anfratti del mondo. Scorrono con il ritmo dell’implorazione; sono quasi una preghiera, delicata ma sfinita, com’è sfinito il mondo per il quale il poeta prega. È una poesia che si comunica per osmosi.
Per questo sono stati fortunati quelle ragazze e quei ragazzi che l’hanno scelta: solamente l’essere stati, magari per tutte le sei ore a disposizione, su quei versi è un’esperienza che fa essere più ricchi e più profondi (per dirla tutta, più maturi). La poesia di Caproni è una poesia che si deposita con dolcezza e lavora nel profondo. A leggerla si scopre che in realtà non si può mai finire di leggerla, anche se è così breve con i suoi 18 versi. Ma quante immagini, quanti sguardi, quanti pensieri quei 18 versi riescono a contenere… Nella sua piccolezza è una “poesia-mondo”: così essenziale e stretta all’idea di fondo che con pudore vuole trasmettere, da riuscire a tenere dentro tutto, amore, meraviglia, dolore, inquietudine, anche asprezza. Quell’idea che sa anche trasformarsi in messaggio, senza cedere neanche di un millimetro all’ideologia. Caproni non fa sconti e gli basta una parola per dire dove sta il male: “E chi per profitto…”.
Anche per lui, come per i ragazzi che hanno lavorato su di lui, il presente è una causa persa. Sul domani invece incombe un monito misterioso, che il poeta negli ultimi versi, aprendo delle virgolette, affida a una voce che non sappiamo di chi sia e da dove venga. Una voce dal tono profetico che usa il condizionale per dirci che la terra potrebbe tornare bella una volta “scomparso l’uomo”. È un paradosso, e il poeta lo sa. Sa bene che la bellezza per essere tale deve essere riconosciuta. Deve far breccia su un cuore. E implicitamente ha cura e cuore di avvertire chi lo legge.
Per quel che mi riguarda il 12 per cento di ragazze e ragazzi che sono stati sei ore su Caproni sono maturi e promossi.