È una piccola chiesina come tante, nel cuore delle Langhe. Nessun segno particolare, se non la naturale compostezza di un qualcosa che sembra lì da sempre, perfettamente armonizzato con il contesto. Qualche tempo fa l’assessore alla cultura del paese in cui la chiesetta si trova, Coazzolo, ha lanciato l’idea di chiamare un famoso artista, David Tremlett, per immaginare un intervento sulla chiesina, dedicata alla Beata Vergine del Carmelo. Tremlett non è un artista scelto a caso: si è reso famoso per grandi wall painting, muri dipinti per rendere più accoglienti e belli ambienti pubblici; spesso è intervenuto all’interno di ospedali. A Torino ad esempio ha cambiato il volto degli spazi comuni nell’housing sociale di Opera Barolo. A Coazzolo la richiesta audace è stata quella di intervenire su quella chiesetta seicentesca. Il percorso, come giusto e logico, è stato molto complesso, perché si trattava di avere i permessi dalla sovrintendenza e soprattutto di coinvolgere la popolazione che in quella chiesina aveva da sempre un punto di riferimento.
Tremlett, che ha una lunga esperienza in interventi a forte impatto pubblico, ha impostato un percorso partecipato, ascoltando, osservando, e anche convivendo con i ritmi e le abitudini della popolazione. Alla fine ha messo a punto un intervento che prevedeva di ridipingere l’esterno della chiesa con un pattern di colori che assorbivano i colori del contesto di colline e di vigneti.
Il 25 giugno scorso sono stati tolti i veli, e la gente si è trovata davanti una chiesa completamente nuova: le colonne basse e massicce del portico erano una di un rosso mattone, l’altra di un terra di Siena. Figure geometriche, irregolari e giocose, cercavano un dialogo con le forme della natura. Il campaniletto si alzava con una bicromia gialla e ocra. Insomma, Tremlett aveva reinventato quell’antico edificio, rendendolo contemporaneo ma senza tradirne la storia, e senza alterarne il valore di riferimento. C’è molta grazia e anche coraggio in questo intervento, che ha come esito quello di rifare di quella chiesetta un fulcro, un riferimento di cui chi vive e lavora lì torna ad essere orgoglioso. A suo modo un’operazione-specchio: la chiesetta riflette il mondo che la circonda e restituisce a quel mondo una coscienza di bellezza più piena.
Ovviamente dell’operazione si sono occupati tutti i media, anche oltre i confini italiani. È stata dunque una buona operazione di marketing territoriale; un rammendo intelligente e di successo tra passato e presente. Ma c’è un altro aspetto che mi piace sottolineare: quella chiesina è tornata ad essere agli occhi di tutti, in particolare di chi lì vive, come una “presenza allegra”, anche grazie a quella sua insolita bizzarria cromatica.
È un’osservazione banale. Ma forse oggi si è persa l’idea che una chiesa nel tessuto di un paese e di una città sia un qualcosa che comunica un senso di contentezza alle persone. È quel senso che Manzoni aveva espresso in modo insuperabile e indimenticabile nella pagina della conversione dell’Innominato, quando è proprio la strana allegria delle persone a colpire il suo cuore. È l’allegria che un tempo prendeva voce con il suono tambureggiante delle campane.
Che ora questa dimensione dimenticata di allegria venga restituita grazie all’intervento audace di un artista contemporaneo, aggiunge sorpresa a sorpresa. E ci dice che l’arte di oggi può mettersi benissimo al servizio del passato: ma lo valorizza nel momento in cui ha anche il coraggio di “non rispettarlo”.