Il suo posto è tra i poeti, laddove il fare-poesia non è trastullarsi all’ombra di parole ricamate a mo’ di vezzo, ma una creazione pura. Cristo mostra d’avere i piedi ben piantati a terra, dentro le faccende terrestri. Osserva tutto: passeri, lievito, farina, rondini, gigli, tramonti, aurore, donne, uomini. Esattamente poeta: in un granello di sabbia è capace di scrutare, come attraverso una feritoia, che faccia ha il mondo intero. Di più: d’intravederci la fisionomia del Regno del Padre suo. Li conosce benissimo gli uomini: sa bene che in ognuno c’è il germe di tremende possibilità.
Nella trama evangelica Cristo fa l’ingresso con indosso le vesti del seminatore: non viene a raccogliere, ad ispezionare, men che meno a giudicare. Prima, da uomo onesto qual è, viene per la stagione della semina. Per accendere la primavera dei cuori: “Ecco, il seminatore uscì a seminare“. Quant’è affascinante quell’articolo determinativo: Lui non è uno-qualsiasi, Lui è Lui, di mestiere sceglie l’agricoltura. Un Dio-agricolo: mestiere di cura, affare di stagioni, spirito d’inventiva. La sacca al collo — come tante volte vedevo il nonno uscirsene da casa — e poi ampie arcate pennellate nell’aria, gettando le sementi sopra la terra arata, preparata. E’ l’arte del seminare, profezia di futuri raccolti.
Il nonno era un agricoltore-attento: mai una volta che l’abbia visto gettare i semi sulla strada asfaltata, nemmeno in mezzo ai rovi della scarpata accanto all’orto: sarebbe parsa una follia, un’ammissione di ignoranza in materia. Al mio paese, ch’è tutto poggiato sulla montagna, tutti sanno quant’è arcigno lavorare la terra: figurarsi se si gettano i semi, se si sperperano le possibilità. “Io sono un agricoltore esperto” dice Cristo di sé medesimo tra le pagine piene di spighe dei Vangeli. E’ così esperto, infatti, da gettare-al-vento patrimoni di speranza: “Una parte cadde lungo la strada, un’altra parte cadde sul terreno sassoso, un’altra parte cadde sui rovi, un’altra parte cadde sul terreno buono“.
Gli apostoli erano tutti uomini pratici: gente di mare, di terra, d’altura. Chissà cos’avranno pensato: “Ha tempo da perdere, non è portato per la semina, pare che getti a casaccio, è strano come semina!” Un giorno, invece, capiranno esattamente ciò che voleva far capire loro il Maestro: che la fede non è dare qualcosa a Cristo ma ricevere da Lui qualcosa che ci appartiene perché donatoci. Ecco perché Cristo-agricolo getta semi dappertutto: nulla, in cuor suo, potrà reggere la forza d’urto della sua speranza. Del suo inguaribile ottimismo. Siccome “vi sono smarrimenti che solo il cuore di Dio vede e misura” (P. Mazzolari) allora anche la strada, se vuole, un giorno potrà diventare terra feconda, una messe dorata. Fiori tra le rocce.
E’ roba buona la semente che Cristo tiene in mano, che getta per terra. Eppure, tempo al tempo, certi semi finiranno nella gola dei passeri, nella pancia delle cornacchie, arsi sulla pietra che brucia. La semente è di prima qualità, ma non basterà: anche la terra dovrà fare la sua parte. Come nella pesca: gettare la rete è mestiere del pescatore, riempirla sarà affare della corrente. Satana — esiste anche un altro seminatore, badate di non scordare mai quest’immane certezza —, quando vede Cristo uscire, esce anche lui. La sua semente è altra-roba: non importa il terreno, la zizzania cresce e prospera anche sui sassi, tra le spine, in terra di cemento. Il male non ha palato: ama gozzovigliare e questo gli basterà per esser contento. Cristo, badate bene, non si indispettisce: “Lasciate fare, per adesso!”. Giusto così: nessuno ha il diritto di vantarsi della propria castità se non è stato prima tentato. Ecco perché Cristo mette le cose in chiaro: nessuno s’illuda che andargli dietro sia facile. Lui chiamerà dappertutto, ma qualcuno non capirà, altri s’alzeranno senza metter la base, altri si strozzeranno per troppi-pensieri. Altri l’accoglieranno: sarà mietitura in numero pari a infinito. Oggi Cristo va-a-campi: il che non significa fuori-tema. Sta a centro-campo.