Come un’eterna sorpresa: ecco come ama annunciarsi il Dio cristiano. Non «un Dio cattivo e noioso preso andando a dottrina», uno di quelli che «come un arbitro severo fischiava tutti i perché» (L. Carboni). Il mio-Gesù abita l’eterna freschezza delle cose, quelle che sempre sono capaci di ringiovanirsi: “Guarda, ecco io le faccio nuove tutte queste cose”. Un Dio che si porta addosso profumo di madre e grazia di complimenti, la sua grammatica è una vendemmia d’affetto, maneggia alfabeti che sono degli esperti in amore: “Sei il mio tesoro”, dice la mamma al suo bambino, nel mentre tenta d’addormentarlo. “Incontrare te è aver trovato la mia perla preziosa”, sussurra, balbettando, l’amante all’amata. È l’identica grammatica di Dio, quando tenta di parlare di sé, della meccanica del suo cuore d’amore, d’amante, d’amato.
Eccolo, nulla di più: «Il regno dei cieli è un tesoro nascosto nel campo». Nulla di meno: «Il regno dei cieli è una perla di grande valore» (Mt 13,44-52). Un tesoro, una perla: questo è il Regno di Dio, quello che batte forte nel cuore di Gesù, il sogno che s’intestardisce a veder sbocciare nel cuore dell’umanità. Funziona sempre così il Regno di suo Padre: nessun preavviso, il minimo sospetto, nemmeno un cenno. Sempre di sorpresa, perché «la gioia più grande è quella che non era attesa». La parola è di Sofocle, la dimostrazione è di Cristo. Che, all’uomo, confida un segreto: “Concediti il lusso di sorprenderti!”.
L’uomo, certi giorni, si alza senza cercare granché. Che importa? Il Regno dei Cieli funziona anche con la gente che, apparentemente, non cerca nulla, nessuno: quell’uomo, quello della parabola, sta solo camminando in un campo quando, d’improvviso, il tesoro gli compare sotto gli occhi. Funziona – né meglio, né peggio, semplicemente va così – anche con la gente meticolosa: c’è uno che di professione è cercatore di perle. Quando ne trova una, la più bella di tutte, sa già cosa fare: vende tutto per lei, “Sei la mia perla preziosa!”.
Il Regno, dunque, sarà per chi non lo cerca come di chi lo va cercando: è il Dio-con-noi, quello a disposizione di tutti. Che ai distratti e agli attenti fa perdere la testa: «Và, vende tutti i suoi averi (…) e compra quel campo, la compra». Disposti alla perdita, perfettamente consapevoli di guadagnarci un’irradiddio. Entrambi, pare quasi di sentirli in viva-voce, vanno dicendo: “Che sorpresa!”. Eppure, a essere sinceri fino all’osso, non aspettavano altro, giacché – come ama tratteggiare papa Francesco – «Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro». C’è sempre, ma c’è sempre a-modo-suo. Che è il modo tipico della gioia, di chi sa presentarsi all’appuntamento decisivo sempre uguale e sempre nuovo, per nulla scontato, mai banale. Imprevedibile, come «un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». Il tesoro rimane lo stesso: a chi gli rimane fedele, ogni giorno gli riuscirà di parlarne con un’altra sfumatura. È la vita dipinta nei Vangeli, sono il vangelo della vita, il trionfo dell’improbabile.
A colpirmi è la perla: «Va’ in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore». Il cercatore sta cercando: questo gli chiede il suo mestiere. Il cercare è la sua missione. La perla, però, mica se ne sta distratta, a specchiarsi nella sua bellezza: percependo d’essere cercata, si lascia trovare. Mica cosa da poco nel tempo della privacy assoluta: lasciarsi trovare è il cinquanta-per-cento dell’andare-a-cercare. È eredità del popolo latino: De te fabula narratur («Di te la favola sta parlando»): Dio cerca, ma, a conti fatti, non basta per realizzare il suo sogno. Che l’uomo si lasci trovare è il cinquanta-per-cento che non spetta a Dio: la percentuale che, quando c’è, fa guadagnare un capitale; quando sfugge lascia l’uomo a mangiarsi le unghie. Perché c’è qualcosa di peggio di non aver mai avuto un’occasione: averla avuta e non essere stati capaci di coglierla. “Sei un tesoro, una perla preziosa!”. Con un Dio così, si sta da-Dio. Io sto con-Dio.