Rispetto agli accadimenti di settimana scorsa è piuttosto semplice tracciare una linea che congiunge il Parlamento di Strasburgo, il Bundestag e la Camera dei deputati spagnola. Iniziamo dalla fine. Sabato il Parlamento europeo ha reso doveroso omaggio a uno dei grandi rifondatori dell’Unione: Helmut Kohl. Senza il cancelliere che ha governato in Germania per oltre 15 anni non ci sarebbero alcune cose che vediamo oggi. Ha reso possibile l’unificazione tedesca, ci ha scommesso senza badare a spese. È stato un autentico gigante.
Kohl era l’incarnazione di molte evidenze e certezze della generazione del dopoguerra. Ha iniziato a fare politica nel ’47 e ha dedicato i suoi studi proprio alla rinascita della vita politica dopo la Seconda guerra mondiale. Il Cancelliere ha impersonificato fino alla fine del secolo scorso il sogno che i valori cristiani secolarizzati, materializzati nel progetto europeo, potessero restare in piedi. L’europeismo, l’occidentalismo, il crollo del blocco dell’Est sembravano suggerire tutto questo. Ma già alcuni decenni prima i più attenti (come Guardini) avevano segnalato che questi valori sarebbero stati presto considerati puro sentimentalismo.
Il secondo punto della linea è l’approvazione dei matrimoni gay al Bundestag, con il voto favorevole di 80 deputati democristiani alla vigilia delle elezioni. Merkel ha dato la libertà di voto ai propri parlamentari, perché – realpolitik – sapeva che la sua difesa del matrimonio formato da un uomo e una donna era percepito da molti come un “sentimentalismo”, se non come una forma di oppressione.
E veniamo al terzo punto: la Camera dei deputati spagnola. La Spagna non sembra spaventarsi davanti a dibattiti che sembravano già vecchi. La destra per niente sentimentale di Rajoy non ha mai pensato di correggere l’eredità socialista di Zapatero in materia di nuovi diritti. Per questo è stata sorprendente la reazione alla proposta fatta da Ciudadanos, il piccolo partito che sostiene il Pp, per far sì che venga consentita la maternità surrogata se gratuita. Il Pp, i socialisti e la sinistra di Podemos hanno respinto la proposta. Vedremo cosa succederà nelle fila del partito di Mariano Rajoy, visto che non pochi dei suoi membri sono a favore di una proposta come quella fatta da Ciudadanos.
Per il momento la maggioranza della Camera sembra sottoscrivere la frase formulata dal leader comunista Alberto Garzón: “Le donne non sono macchine per fabbricare bebè, né i bambini sono beni di consumo che si possono vendere o comprare”. Ed è certamente curioso il fatto che i comunisti ricordano, più della destra, l’intangibilità della persona e della maternità.
È interessante notare l’arco tracciato dal movimento per l’autodeterminazione, che, almeno legalmente, ha avuto inizio negli Stati Uniti con il famoso caso Roe vs. Wade nel 1973. Allora la Corte Suprema stabilì che il diritto alla privacy aveva la precedenza rispetto a quelli che fino a quel momento si consideravano valori indiscutibili. Tale diritto alla privacy o all’autonomia ha messo nell’angolo del “sentimentale” evidenze che erroneamente si consideravano acquisite per sempre. Tuttavia oggi il diritto all’autodeterminazione, in questo caso il desiderio di diventare genitori, viene percepito come una minaccia per l’autodeterminazione stessa. Le femministe hanno quindi cominciato a dire: si può, in nome dell’autodeterminazione, distruggere l’autodeterminazione (della madre)? Vedremo quanto tempo durerà questa comune visione tra i partiti.
Per il momento segnala qualcosa di importante. Il desiderio di una maggior autodeterminazione ci ha reso ironici rispetto a qualsiasi grammatica umana. L’ironia ci colloca implicitamente su un piano superiore, crea una distanza e una sufficienza irrevocabili. Ma, come ha detto Foster Wallace in un’intervista a Larry McCaffery, “una volta che le realtà sgradevoli diagnosticate dall’ironia sono state rivelate, cosa facciamo?”. Sembra che ci sia qualcosa su cui non vogliamo essere affatto ironici: l’autodeterminazione.
Siamo la generazione che, come ha detto Bauman, non vede nel mondo più che un immenso contenitore traboccante di beni di consumo, e tra questi oggetti ci sono anche quelli che pensano e sentono. Tra questi oggetti ci siamo anche noi, gli unici oggetti con cui non si può stabilire una “relazione pura” che si può sciogliere quando insoddisfacente.
In questo contesto di “ironia consumatrice”, che cosa può significare che pochi, dopo aver smontato tutto, ritengano che qualcosa sia indisponibile? “Cosa facciamo?”, si è chiesto Wallace. Prendiamone atto. È fondamentale per ricominciare. L’ultimo nome dell’umanità è libertà. Un nome ancora frequente nell’epoca di Kohl e ora meno, ma sempre prezioso.