Domani Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, è atteso al civico 128 di viale Fulvio Testi: stradario reale di Milano ma anche di Cinisello Balsamo, soprattutto un tag mentale per milioni di “produttori” che ogni giorno vanno e vengono dalla Brianza, dalla Serenissima dalle tangenziali della teropoli lombarda, cioé da ovunque in Italia e da molte parti d’Europa.
Se sarà confermata la seduta del Consiglio dei Ministri è possibile che Calenda non riesca a essere fisicamente nella sede dell’Ucimu, per l’assemblea annuale dell’associazione dei produttori di macchine utensili, anzi di “sistemi per produrre”. Ma poco cambierà: Calenda ha garantito che in viale Fulvio Testi 128 in qualche modo ci sarà, vuol esserci, farà sentire la sua voce e ascolterà le altre voci. Troppo importante – non solo per il titolare del Mise – quello che verrà detto all’ultimo piano della sede Ucimu: dal presidente Massimo Carboniero, dai suoi oltre 200 associati, dal vicepresidente di Confindustria Giulio Pedrollo, delegato alla politica industriale.
“Industria 4.0” funziona o no? Questa è il tema dell’assemblea Ucimu 2017. Non è questione da addetti ai lavori, né soltanto da tecnici capaci di distinguere fra “iperammortamento” o “superammortamento”. L’interrogativo è invece di primissimo livello: l’unica strategia-Paese messa sul tavolo dal governo dopo il Jobs Act sta scuotendo l’Azienda-Italia, contribuirà a spingere il Pil dell’1,3% come si attende il Centro Studi Confindustria? Gli imprenditori italiani si stanno veramente rivolgendo agli associati Ucimu per investire in nuova “intelligenza industriale”? Per assumere poi neo-ingegneri 4.0? L’esecutivo – poco importa quale, se prima o dopo le elezioni – avrà buone ragioni per insistere sugli incentivi fiscali mirati, per stimolare la ripresa via offerta e non solo via domanda? Per spendere ancora in “Industria 4.0” quella poca flessibilità di bilancio che l’Italia riesce oggi a strappare in Europa?
Una prima risposta attendibile non potrà che venire dall’assemblea Ucimu: e le aspettative sono ragionevolmente incoraggianti Non è questione di wishful thinking o, viceversa, di cautela tattica di forze economiche versus le forze politiche: la comunità della macchina utensile Made in Italy, dal 1945 in poi, conosce solo il linguaggio della realtà e del lungo periodo, non quello delle “buone notizie” di un giorno o dei “cattivi slogan” mediatici di un altro. Investimenti e lavoro da un lato, ciclo interno e internazinale dall’altro, in mezzo l’innovazione tecnologica e l’internazionalizzazione: trimestre dopo trimestre, l’Ucimu ha segnalato il lento ma sicuro recupero dei livelli produttivi crollati dopo il 2007: un traguardo quasi raggiunto, non ancora raggiunto. Quando la domanda interna è rimasta congelata, ha supplito la competitività estera. Ora “Industria 4.0” sta agendo sia a livello congiunturale (con un boost alla domanda) sia a livello strutturale: innescando una vasta e profonda trasformazione in tutti i “sistemi per produrre”, in tutti i settori, in tutte le dimensioni. Soprattutto: nei diversi tessuti portanti dell’Azienda-Italia (le Pmi, le 20mila imprese che generano la larga parte dell’export).
Segnali positivi – ce ne sono già e altri sono previsti in arrivo – non vanno scambiati per una vittoria rapida e definitiva. Segnali di progresso graduale, d’altro canto, non possono essere pretesti per mollare la presa. Un conto sono gli slogan (quelli che già sbandierano la “robotica collaborativa” come “industria 5.0”. Un conto è un comparto manifatturiero chiave di un’economia del G7, un fatturato annuo di 8 miliardi di euro. E livelli occupazionali di quantità e soprattutto di qualità. domani proporrà analisi “strutturali”: contando che tutti gli altri player facciano lo stesso.