Dopo 34 repliche, esattamente come il numero dei canti dell’Inferno, è calato il sipario su uno degli eventi teatrali più emozionanti e partecipati di questi anni recenti: è quello realizzato nell’ambito del Ravenna Festival (il festival immaginato da Riccardo Muti per la sua città) da Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, i fondatori del Teatro delle Albe. È stato bellissimo l’esito, che ha attirato l’attenzione di tanti osservatori anche da fuori d’Italia, ma è stato ancor più interessante il progetto e il meccanismo attivato per renderlo possibile.

L’Inferno infatti prima che per gli spettatori è stato immaginato per la città e per chi ne avrebbe preso parte. Ad inizio anno il Teatro delle Albe ha fatto una chiamata a tutti cittadini di Ravenna che volessero far parte dei “cori” con cui sarebbero stati rappresentati i principali canti dell’Inferno. “Coro” significava disporsi a essere parte di vere azioni performative che avrebbero “popolato” in modo molto verosimile i gironi dell’Inferno che gli spettatori dovevano attraversare (lo spettacolo è spettacolo “in movimento”). La risposta alla chiamata è andata oltre le previsioni, tenendo conto che si trattava comunque di un impegno non da poco, a titolo volontario. Alla fine la macchina dello spettacolo ha coinvolto mille persone, tra quelle che andavano in scena e quelle che si sono messe a disposizione per il backstage, dal trucco, ai costumi, all’organizzazione. Ogni sera circa 250 persone si alternavano in scena nei vari gironi previsti dallo spettacolo.

Sin qui siamo di fronte a quello che può sembrare un kolossal dal vivo. Ma poi c’e dell’altro. C’è molto d’altro. Da sempre, e anche in tempi recenti, Dante ha mostrato di saper essere un poeta ancora capace di mobilitare. Abbiamo assistito a tanti spettacoli collettivi: basti pensare all’esperienza dei Centocanti o a quella a cui si è assistito lo scorso anno a Firenze, con migranti e detenuti che leggevano una selezione di terzine dall’alto del campanile di Giotto. A Ravenna la sorpresa si è rinnovata con qualche altra, grande sorpresa aggiuntiva.

Innanzitutto la “chiamata” è stata a 360 gradi, aperta davvero a tutta la città. Quindi ha visto rispondere le persone più diverse, con maggioranza di ragazzi e anziani, e anche con tanti immigrati. In secondo luogo la chiamata ha portato allo scoperto tanti piccoli gruppi teatrali, soprattutto di ragazzi, che hanno avuto l’opportunità di un’esperienza professionalizzante in ogni senso, a contatto con attori e tecnici di una compagnia storica come quella delle Albe. L’allestimento dello spettacolo è stata una vera scuola di formazione con scambi di sapere: per la scenografia ad esempio sono stati mobilitati un docente di Brera, Edoardo Sanchi, e i suoi studenti. In terzo luogo l’esperienza si è trasformata nel consolidarsi di una comunità trasversale, intergenerazionale e interrazziale, che il teatro lascia quindi come patrimonio sociale, prezioso e “imprevisto” alla città.

Una comunità che ha avuto due leader autorevoli e “dolci” nelle figure di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari. Personaggi che hanno alle spalle successi, riconoscimenti e premi (nel 2017 hanno portato in scena con grande successo anche il testo di un autore ben noto ai lettori del sussidiario, Luca Doninelli); personaggi che concepiscono il teatro e la cultura sempre in connessione vitale con la realtà; come fattori di costruzione e di crescita collettiva. Non voglio parlare dell’esito, che ha lasciato a bocca aperta tutta la critica venuta a Ravenna: i cori dei “cittadini” erano a tratti di una forza e di un impatto straordinari. Piuttosto voglio sottolineare come questo Inferno sia la riprova che la cultura, quando non è ostaggio delle conventicole, è una forza capace di cambiare la realtà, grazie a un di più di consapevolezza e anche di orgoglio che comunica a tutti. Sopratutto l’Inferno messo in scena dalle Albe è la dimostrazione che la cultura può essere ancora esperienza di tutti e per tutti: così può capitare al bar per un caffè con il biglietto dello spettacolo in mano, sentirsi dire dalla ragazza dietro al bancone: “fortunati voi che andate a vedere una cosa così bella”.