Nel periodo della Guerra fredda nacquero formule diplomatiche molto più complesse rispetto a quelle utilizzate di questi tempi. In piena tensione con il blocco comunista, l’amministrazione americana creò la “teoria del pazzo” come strumento deterrente. La squadra di Nixon la utilizzò per cercare di obbligare i vietnamiti a negoziare. Kissinger ebbe molto a che fare con lo sviluppo di una risorsa che consisteva nel far credere ai sovietici, o a uno qualsiasi potenziale avversario, che nello Studio Ovale c’era un presidente che non poteva essere controllato, pronto a tutto.
Forse la “teoria del pazzo” è diventata più sofisticata. Forse le minacce dei giorni scorsi di Trump contro la Corea del Nord (e anche contro il Venezuela) sono parte di una complicata operazione di deterrenza. Anche se è difficile credere che sia tutto pianificato. Il Presidente degli Stati Uniti ha parlato di una risposta con “fuoco e furia”, ha detto che è disposto a sparare e provocare qualcosa di mai visto prima. Il Segretario di Stato, Rex Tillerson, è stato impegnato, come in altre occasioni, a fare il “poliziotto buono” e a ridurre le minacce. È accaduto in molti altri “incendi” causati da Trump.
Più che a una sofisticata operazione di simulazione sembra che siamo di fronte a un nuovo errore, a causa del gusto o della necessità di alimentare l’immagine della “fortezza assediata”. A Trump non importa di avere un bassissimo livello di popolarità, ma è necessario che non scenda sotto il 36%. E per questo è necessario mantenere l’immagine di un grande pericolo da cui difendersi con fermezza, qualcosa di più urgente per Trump delle vittorie in politica internazionale.
Il presidente, infatti, nell’impegnarsi in una polemica con Kim Jong-un ha perso gran parte del vantaggio ottenuto pochi giorni prima dal suo ambasciatore alle Nazioni Unite. Nikki Haley ha ottenuto una risoluzione interessante dal Consiglio di sicurezza per aumentare le sanzioni. Il divieto di esportazione di carbone, ferro, piombo e frutti di mare, cui la Cina non si è opposta, rappresenta un grande risultato. Ma invece che rimanere in silenzio dopo una tale svolta, Trump ha violato una delle regole fondamentali in ogni conflitto: niente polemiche, niente discussioni con chi si trova in una posizione di inferiorità. È lo stesso errore commesso con il Venezuela. Nulla può essere meglio per Maduro di un Presidente degli Stati Uniti che minaccia un intervento armato.
Il primo avvertimento di “fuoco e furia” si è verificato curiosamente dopo che Trump ha partecipato a una riunione per affrontare il forte aumento di consumo di oppiacei nel Paese. Il problema è grave e riflette il profondo “stato di infelicità” di un importante segmento della popolazione degli Stati Uniti. Per quanto alcuni cerchino di sminuirne l’importanza, ricordando che consumi simili di derivati ??dell’oppio c’erano già nel XIX secolo, i dati sono davvero forti. Il numero di morti per overdose di eroina e di oppiacei legali prescritti dai medici è salito a 60.000 l’anno scorso. È la causa di morte più frequente tra gli americani sotto i 50 anni. L’escalation di morti per abuso di droghe è iniziata 15 anni fa e da allora è triplicata.
Questa epidemia è diventata una questione economica. Nella sua conferenza a metà luglio al Senato, la Presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, ha dichiarato che gli Stati Uniti sono l’unica nazione avanzata in cui è aumentato il rapporto di decessi per overdose, soprattutto tra le persone con basso livello d’istruzione. Yellen ha sottolineato il rapporto tra l’epidemia e uno stato di infelicità lavorativa, che colpisce soprattutto i più giovani e coloro che hanno perso opportunità. Il sogno americano è un incubo per molti e l’eroina e le pillole sembrano offrire un rifugio, almeno passeggero.
Trump insiste nell’accusare il nemico straniero, indicando la responsabilità del Messico nel traffico di droga. Ma il Presidente dovrebbe guardare più verso l’interno degli Usa, perché gran parte di ciò che sta accadendo ha a che fare con il modo in cui le aziende farmaceutiche promuovono i loro antidolorifici o il modo in cui i medici li prescrivono. Per trovare una pillola che attenui l’infelicità spesso non serve cercare uno spacciatore: è sufficiente avere la prescrizione medica appropriata.
L’atteggiamento del Presidente numero 45 degli Stati Uniti va oltre la classica ricerca di un nemico esterno per far dimenticare i problemi interni. In particolare tra i suoi elettori, quegli americani che sono sempre più lontani dal successo. La “sindrome da fortezza assediata” sembra la naturale conseguenza di un’insicurezza esistenziale che diventa sempre più una categoria geostrategica. Un buon nemico a cui dare la colpa di tutto può essere un conforto.
La crisi continua dieci anni dopo lo scoppio della Grande recessione innescata dai subprime. Va avanti perché non è solo una crisi economica, ma soprattutto una crisi di identità. I programmi di espansione monetaria hanno dato buoni risultati, ma l’aumento della liquidità non risolve i drammi umani che finiscono per diventare opzioni politiche. Questa ricerca del confronto con l’avversario, disprezzando ogni minima intelligenza diplomatica, questa insistenza nel difendere valori assediati in castelli immaginari, certifica l’insicurezza e la confusione. Forse il leader sta catalizzando i sentimenti di una grande minoranza della popolazione. Manca una certa dose di felicità reale, di soddisfazione fisica, non chimica, per non dare la colpa all’altro.