Quale lavoro è più pertinente alle mie inclinazioni e capacità? Quello che sto studiando sarà utile un domani nel mio percorso professionale? Seguire un maestro che valore può avere? Qual è il criterio più importante con cui scegliere un impiego? E quando decidere di cambiarlo? Fino a che punto è ragionevole portare avanti un progetto economicamente incerto? Come vivere lavoro e famiglia senza sacrificare nulla? La maternità è davvero un impedimento alla carriera? Il lavoro mi sta facendo crescere? 

Sono solo una minima parte delle domande che un giovane si pone approcciando il momento del suo ingresso nel mondo del lavoro. 

Non ci sono solo numeri, statistiche e previsioni a parlare di quella che rimane la principale emergenza del Paese (la ripresa appare più decisa, ma rimane ancora una crescita con scarso impatto sull’occupazione). I dati sono importanti, ma lo è ancora di più l’esperienza del lavoro, proprio e altrui, di cui è decisivo far tesoro: per cercarlo, per crearlo, perché sia qualcosa che ci appartenga. E così faccia crescere ogni “io” e abbia anche un impatto sociale. E’ questo in sintesi il senso della mostra (“Ognuno al suo lavoro”) che un gruppo di giovani proporranno al Meeting di Rimini in partenza domenica con il titolo “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”.

Tra le cose più importanti che ci hanno lasciato i nostri padri c’è la loro capacità di risollevare con la loro capacità di lavoro un Paese vinto, distrutto, diviso, alla fame.

Spinti da grandi ideali per l’uomo, hanno saputo creare progresso e sviluppo senza grandi risorse se non il loro desiderio e la loro inventiva. Tanti “io” che hanno contribuito nei primi decenni della storia repubblicana a fare dell’Italia uno dei paesi più sviluppati del mondo e più ricchi di innovazione creatrice e produttrice. Per tutti, dai lavoratori più semplici a quelli più qualificati, da quelli in patria agli emigrati, qualunque credo professassero, il lavoro è stato un punto unificante e qualificante il nostro paese. I nostri lavoratori erano stimati in tutto il mondo, le nostre imprese costruivano la diga di Kariba (una delle più imponenti al mondo, al confine tra Zambia e Zimbabwe) o si affiancavano ai paesi produttori di petrolio senza sfruttarli come gli altri occidentali; la plastica veniva scoperta a Milano, l’Alfa Romeo e la Ferrari erano le macchine più ambite nel mondo. Sul piano sociale i lavoratori anche più poveri, lavorando giorno e notte, in imprese o in cooperative, si costruivano o compravano la casa giungendo fino a un 80% di abitazioni di proprietà (gli Usa, nel tentativo di raggiungere lo stesso risultato, hanno provocato una devastante crisi finanziaria). I giovani avevano opportunità, i più anziani non smettevano di lavorare anche in tarda età.

Quale sia la ragione se c’è una cosa disattesa oggi è questo primo articolo della Costituzione: l’Italia è ancora un repubblica fondata sul lavoro? 

Sono oltre 2 milioni i giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all’università, che non lavorano e che nemmeno seguono corsi di formazione professionale. Oltre la metà dei giovani fino a 25 anni che lavorano sono precari. Si assiste a fenomeni migratori dei giovani che abbandonano il sud del paese in cerca di opportunità lavorative. Il tasso di occupazione femminile pur in aumento rimane il più basso di Europa. Drammatica è la situazione dei non pochi 50enni e 60enni che rimangono senza lavoro e sono ben lontani dalla pensione. Nel complesso la disoccupazione rimane superiore all’11%.

Di fronte a questa situazione l’Italia sembra come i polli di Renzo di manzoniana memoria. Tutti con la testa rivolta verso il passato a beccarsi con interpretazioni opposte. Di chi è la colpa? L’Europa, l’eccessiva spesa pubblica e il clientelismo, l’incapacità di molte imprese ad adeguarsi alla globalizzazione, l’inadeguatezza della classe politica, la voglia di non lavorare di molti, la criminalità organizzata e le varie mafie? Tutti hanno un po’ di ragione e un po’ di torto (tranne quegli opinionisti che hanno sbagliato ogni previsione sulla crisi finanziaria ma continuano tronfi a pontificare ignorando la realtà: a proposito valutare il merito vale per tutti eccetto che per loro?). 

Però tutte queste analisi lasciano un po’ il tempo che trovano perché parafrasando il titolo del Meeting non affrontano la questione cruciale: come ricostruire oggi nella singola persona quella voglia di lavorare, quella passione all’inventiva e al sacrificio implicito nel primo articolo della Costituzione e nella storia di milioni di lavoratori italiani del dopoguerra?

Il mondo del lavoro è cambiato e cambia vorticosamente, ma solo chi riguadagna personalmente il senso del suo lavoro e cerca una sua propria strada può possedere le chiavi per un futuro che non ci porti alla decadenza. I ragazzi protagonisti della mostra al Meeting 2017 lo suggeriscono a ognuno. E senza questa riscossa personale nessun intervento economico o politico avrà effetto duraturo.