“La nostra eredità non è preceduta da alcun testamento”, ha detto il poeta surrealista René Char. Tuttavia, da quando è scoppiata dieci anni fa la crisi dei subprime e da quando la globalizzazione economica ha fatto sentire i suoi effetti su tutto il pianeta non si parla che di testamento. Dei testamenti legati a un passato che viene ricordato con nostalgia, come un’età dell’oro. Sarebbe il ripristino di quel passato che permetterebbe di avere una forte identità ora che le sovranità nazionali sono diluite e comanda solo il mercato. Questa operazione è alla base di molti dei fondamentalismi che sono cresciuti all’inizio del XXI secolo.
In nome del passato, il salafismo vuole recuperare le tradizioni medievali del Golfo Persico. Vuole universalizzarle e trasformarle nella forma definitiva di un Islam che si sente attaccato dalla modernità. In nome del passato, anche il movimento nazionalista indù, che governa il 20% della popolazione mondiale e che è cresciuto con la rottura delle barriere culturali, vuole conservare un sistema di caste. Ha 5.000 anni – assicurano i suoi responsabili – perché dovremo cambiarlo? I tempi passati sono, allo stesso modo, quelli che vengono invocati per un riarmo morale che risponda alle nuove ideologie di decostruzione.
Il Meeting di Rimini, cominciato domenica, ha come titolo: “Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo”. Parla di un’eredità, ma da quello che abbiamo visto al suo avvio, non sembra che sia una semplice rivendicazione del passato. In realtà, è impossibile su un testamento fondare un’identità che abbia di per sé la forza di stare in piedi. Il fatto che si invochi continuamente il passato è il miglior modo per constatare che la tradizione si è interrotta. La tradizione, quando era viva, era sempre qualcosa riguardante il presente. Si parla molto di testamento, di un’eredità, perché è stata persa.
Il fallimento della trasmissione della tradizione europea che si è verificato decenni fa nella maggior parte delle nostre scuole o l’impotenza di molte famiglie musulmane nel trasmettere l’appartenenza a una comunità islamica in un contesto occidentale hanno fatto sì che i mercati delle ideologie abbiano cominciato a riempirsi di “identità di sostituzione”. Sono vernici poco costose, appartenenze virtuali, che non hanno la capacità di sfidare la ragione o di sostenere la fatica del vivere. Molti dei nuovi terroristi jihadisti, prima di fare attentati in nome del Corano, si sono dedicati a droghe e alcol. Non provengono da alcuna storia consistentemente legata all’Islam. Quanto più si approfondiscono le origini dell’islamismo politico sunnita e sciita, tanto più si trova la traccia del pensiero rivoluzionario e di rottura che è stato insegnato nelle università europee decenni fa. Lo stesso accade con l’induismo ideologico fabbricato nel Regno Unito con gli stampi del nazionalismo del XIX secolo.
La storia della rottura della tradizione è lunga in Occidente e, per estensione e contaminazione, nel resto del mondo. Musulmani, nazionalisti indù, indigeni latinoamericani, liberali e conservatori occidentali… siamo geneticamente moderni. E più lo siamo quando più lo neghiamo. La modernità è come una scala ascendente che, da prima della Rivoluzione Francese, passando dal 1968, rende impossibile la fiducia abituale in un testamento. Il romanticismo sorto nel XIX secolo come risposta al pensiero liberale non è stato altro che un attestato di morte.
Una rivendicazione del passato come quella che fanno molti difensori delle identità chiuse, dominate dalla paura della globalizzazione, nazionaliste o storicistiche in cerca di un falso rifugio, non è altro che una reazione isterica. E quindi chi la vuole? I moderni, ovvio. E moderni significa non considerare vero nulla, non aderire ad alcun proposta che non sia stata sottomessa alla libertà sovrana, alla sovrana prova di ciascuno.
Nel suo magnifico libro “Tra passato e futuro”, Hannah Arendt spiega che, nello scontro tra le forze del passato e del presente, c’è solo una breccia, quella della persona, quella del soggetto libero che può trasformare in eredità utile quello che altrimenti non sarebbe altro che il peso di un testamento inumano. La chiave del tema per il Meeting di Rimini di quest’anno è in una parola, forse in in un paio di lettere: “riguadagnaTElo”, guadagnaTElo di nuovo.