Io vedo il meeting come una grande piazza dove si incrociano ragione ed emozione, fede e laicità, competenze specialistiche e conoscenze generali. Mi stupisce l’assoluta mancanza di cinismo e una sorta di innocenza del sapere. In un modo in cui sembra prevalere l’alzata di spalle, al meeting vedo prevalere le teste chine sugli appunti, il desiderio di conoscere, le domande brevi che rivelano non la tentazione del dimostrare, ma il desiderio di andare alle radici.

Negli incontri, nelle conversazioni ho trovato un pensiero non sazio di sé, ma desideroso di andare alla ragione degli eventi. Nel conflitto tra le ragioni della polis, della comunità e quelle  dell’oikos, della casa, del privato, nel Meeting ho incontrato solo la polis, l’attenzione alla comunità, tanto negli incontri quanto nelle mostre, alcune davvero di grande rilievo. Dal mio punto di vista, credo che uno dei grandi meriti di CL e del Meeting sia l’impegno per la formazione politica delle generazioni più giovani, non nel senso della formazione ad una visione partitica, ma della formazione ai fondamentali della vita politica, che costituiscono il presupposto per una sana attività partitica, dovunque svolta. Al Meeting, i comportamenti e le iniziative sono il frutto di una solida e permanente formazione ai valori della polis. Negli incontri che, ormai numerosi, si succedono fuori del Meeting, ho trovato la stessa ricerca dei fondamentali, la stessa domanda di verità. Segno che questa non è una prerogativa del Meeting, ma una caratteristica di fondo del Movimento che trova a Rimini un luogo non solo simbolico, ma anche pratico di incontro, confronto e scambio tra diversi. Come se a Rimini si mettesse carburante nelle intelligenze da usare poi per tutto l’anno.  

Dopo una intervista sul Corriere nella quale sostenevo che solo CL fa formazione politica e che i partiti  non sono oggi in grado di farla perché non hanno un punto di vista profondo e sedimentato sui grandi snodi della vita del Paese, sulla sua storia, sul suo ruolo nell’Europa e nel mondo, ho avuto due reazioni da parte di persone che rispetto. Entrambe riferiscono della scuola di formazione del loro partito. Una di loro mi ha scritto un messaggio telefonico, le ho risposto e ci vedremo nei prossimi giorni. Sto cercando, sinora senza fortuna, l’indirizzo di Armando Siri, responsabile della formazione per la Lega Nord, autore di un cortese articolo di replica alla mia intervista, pubblicato anch’esso dal Corriere. Entrambi gli interlocutori mi dicono, in sostanza: tu scrivi che i partiti non fanno formazione, noi la facciamo. Effettivamente dovevo essere più preciso e mi scuso con coloro che ho involontariamente offeso. 

Distinguo tra formazione politica e formazione  partitica. La prima riguarda i principi di fondo della vita politica: il rispetto delle persone e delle istituzioni; la verità; la responsabilità; lo studio dei problemi; la disponibilità a riconoscere il proprio errore; l’apertura ad analisi e proposte diverse dalle proprie perché non è possibile che noi si abbia sempre ragione i nostri interlocutori sempre torto. Questa formazione esige non solo messaggi, ma anche comportamenti  coerenti con questi valori. Oserei dire che la politica è soprattutto fatta di comportamenti che nascono dalla fiducia in alcuni valori, quelli che ho appena indicato. Il dileggio delle grandi istituzioni del Paese, a partire dal Parlamento, così frequente nel dibattito pubblico, è un evidente esempio della mancanza di questo tipo di formazione. La stessa carenza è dimostrata dall’insulto reciproco, dalla gratuita denigrazione dell’avversario, dalla trasformazione dell’avversario in nemico proprio e, a volte, dell’intero paese. Così anche la mancanza di autorevolezza e la volgarità di alcuni atteggiamenti di importanti leader politici.

La formazione partitica, invece, è relativa ai valori e alle scelte proprie di ciascun partito. Ma a me sembra che senza la prima formazione la seconda sia in qualche modo mutilata, ridotta nella propria capacità di orientare le scelte e il modo di essere dei militanti.

Rimini è ormai da trentotto anni un luogo in cui una parte grande del Paese si interroga su sé stessa e sui grandi problemi dell’umanità. Ma trentotto anni fa, l’Italia e il mondo erano profondamente diversi da oggi. Forse sarebbe utile prendere il toro per le corna e decidere una svolta che, fermi i valori di fondo, sia frutto di una riflessione su ciò che serve oggi alla migliore attuazione di quei valori e alla intelligenza del Paese. Senza la pretesa di essere i soli, ma con l’ambizione di continuare a svolgere, nelle circostanze che la modernità ci consegna, diverse oggi rispetto a ieri, un servizio per l’intera comunità nazionale, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni.