Dove tutto diventa bambino

Tutto parte da un verso delle cinque preghiere in forma di poesia scritte da Péguy: "Ecco il solo luogo al mondo dove tutto diventa bambino". GIUSEPPE FRANGI

“Ecco il solo luogo al mondo dove tutto diventa bambino”. Questa è Chartres secondo Charles Péguy. Il verso è tratto da una delle cinque preghiere in forma di poesia scritte all’indomani della sua conversione: è la Prière de résidence. In un viaggio recentissimo fatto con un gruppo di amici abbiamo avuto la fortuna di sentirla leggere da Luca Doninelli che l’ha tradotta per l’occasione, liberandola così da quelle espressioni un po’ antiquate che in genere circolano. Una poesia di martellante semplicità che non parla mai in modo letterale o descrittivo di questo luogo straordinario a cui è dedicata è da cui ha pur preso origine. Quasi con pudore e circospezione lo accosta, lo aggira, lo indaga verso dopo verso.

Oggi Chartres da una parte è molto diversa da quella che Péguy vide nel giugno del 1912, alla fine del suo primo pellegrinaggio, dall’altra invece è molto simile. È diversa perché uno sciagurato restauro, che ha preteso di riportare l’interno ai presunti colori originali, l’ha molto “disneyzzata”: si tratta di un intervento del tutto anacronistico, che non fa i conti con il tempo che comunque ha segnato profondamente l’interno. Tutta la parte del coro, per esempio, è un imponente inserto cinquecentesco. Per di più risultano penalizzate le vetrate, vero capolavoro di Chartres, il cui effetto si stempera per via dei colori panna e beige scelti per le architetture.

Da una altro lato Chartres è invece qualcosa di molto simile a quella di Péguy. Quando lui arrivò qui era dolorosamente consapevole del processo di secolarizzazione di cui era testimone e che ci riguarda da vicino. Scriveva infatti: “Non c’è più popolo. Tutti borghesi… Noi abbiamo conosciuto e abbiamo toccato la vecchia Francia… Chi lo crederà? Noi siamo stati nutriti in mezzo a un popolo lieto… e sembrava che non dovesse finire mai. Dieci anni dopo non c’era più niente… Il mondo ha cambiato meno dalla venuta di Gesù ad oggi che non negli ultimi 30 anni. I liberi pensatori di quel tempo erano più cristiani dei devoti di oggi”.

Questa coscienza così profeticamente drammatica rispetto a un mondo che si avviava rapidamente ad essere il primo mondo post-cristiano, poteva annientare un’anima come quella di Péguy (lo stesso Marcel Proust, che a Chartres era arrivato nel 1902 e che di Chartres parla più volte nella sua Recherche diceva di temere “che la Francia si trasformasse in una spiaggia dove gigantesche conchiglie cesellate sarebbero apparse arenate, vuote ormai della vita che in esse aveva abitato”). 

Invece Chartres “chiama” Péguy: e in questa semplice chiamata (e nell’umiltà della risposta) c’è tutto il senso di cosa sia ieri come oggi una “cattedrale”. Non è l’imponenza, non è l’audacia impressionante di chi l’ha progettata e costruita. Oggi la “cattedrale” è “una punta laggiù nell’increspatura”, “ferma come una speranza sull’ultima collina, sull’ultima colle la guglia inimitabile” (Péguy in una lettera all’amico Lotte, come riportato nel bellissimo articolo che Gianni Valente scrisse per il mensile 30 Giorni, novembre 1999). Péguy quando arriva a Chartres deve fare i conti anche con il formalismo del partito dei “devoti”, cioè degli intellettuali cattolici. Un partito che spesso nei suoi confronti ha parole di vero disprezzo se non addirittura di odio. Lo volevano ricondurre ad un’obbedienza intellettuale e morale (aveva sposato una donna non credente e non aveva potuto battezzare i figli). Lui rispondeva così: “Vivo senza sacramenti. È un’impresa folle. Ma godo del dono della grazia, di una sovrabbondanza di grazia inconcepibile”.

Chartres è “cattedrale” perché luogo di scaturigine di questa “grazia nuova, se posso dire di una grazia giovanile”. Una grazia capace imprevedibilmente di fiorire in un tempo tanto avverso. La lunga preghiera/poesia di Péguy altro non è che la descrizione minuziosa, circostanziata, di cos’è la vita, a partire proprio dai suoi risvolti più banali, una volta che si incontri e si segua questa grazia semplice. 

Ciò che dovunque altrove è regola e costrizione/ non è qui che un fattivo abbandono…
Ciò che dovunque altrove è pena e dolore/ della giovane preghiera qui diventa il fiore…
Ciò che dovunque altrove sarebbe fatica/ diventa qui riposo e rilassamento…
Ciò che dovunque altrove è solo una caparra/ è qui la soglia in pari col gradino.

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