La parola dittatura non è più una metafora per descrivere ciò che sta accadendo in Venezuela. L’inizio dei lavori della Costituente, la destituzione del Procuratore generale Luisa Ortega (una delle poche voci libere del chavismo che ancora si alzano contro Maduro), il modo in cui gli oppositori Lepoldo López e Antonio Ledezma sono stati presi dalle loro case per essere portati in carcere sono prove più che sufficienti per sostenerlo. La decisione del Vaticano di chiedere la sospensione dell’Assemblea, eletta in modo fraudolento per redigere una nuova Costituzione, significa che il Presidente venezuelano ha fatto saltare tutti i ponti. La Segretaria di Stato è convinta che in questo momento non sia possibile un dialogo.
Roma ha cercato fino all’ultimo un confronto, una scommessa che molti non hanno capito. È logico che la Chiesa parlerà in un modo attraverso i vescovi locali e in un altro dal Vaticano. Si tratta di una formula tradizionale. Le critiche che ora vengono mosse dalla Santa Sede possono essere un buon esempio per Zapatero. L’ex Premier spagnolo ha provato a instaurare una trattativa, che è stata fermata da un regime che non ha nessuna volontà di trovare una via d’uscita alla situazione. Ora dovrebbe parlare.
Alcuni esuli cubani trovano molte somiglianze tra ciò che sta accadendo questa estate in Venezuela e quello che è successo a Cuba nel gennaio del 1959, quando Fidel Castro ha preso il potere. Non bisogna esagerare con le similitudini. Non siamo di fronte a un colpo di Stato, ma a un auto-golpe di Stato. A differenza di ciò che è accaduto quasi 60 anni fa, in questo caso c’è un forte blocco di opposizione che sta resistendo eroicamente al tiranno e non c’è una comunità internazionale confusa (gli Stati Uniti riconobbero il primo governo di Fidel). Ma esiste un’elevata possibilità che nasca una dura dittatura sostenuta dall’esercito e dal traffico di droga portato avanti da alcuni dei leader. Una dittatura che, paradossalmente, non può essere presentata come la soluzione alla miseria del popolo, al clima di terrore e violenza, ma come un prolungamento di una prostrazione che dura da troppo tempo.
Il pregiudizio economicista (liberali e marxisti erano concordi) ha portato molti a prevedere un collasso del regime chavista nel momento in cui il prezzo del petrolio ha iniziato a scendere. Quando Maduro è diventato Presidente, nel 2013, il barile era ancora a circa 100 dollari. A quel prezzo, il Paese aveva ricevuto (tra il 1999 e il 2014) mediamente 56,5 miliardi di dollari all’anno dalla vendita del greggio: abbastanza per fare politiche di clientelismo elettorale e finanziare progetti populisti. Ora il prezzo del barile è intorno ai 50 dollari e la produzione venezuelana è stata notevolmente ridotta. Ma il caos economico non ha causato un crollo del chavismo. Né le minori entrate dalla vendita dell’oro nero, né i 13.000 omicidi annui, né il boom della malaria, né le condizioni sanitarie inqualificabili che hanno causato la morte di 756 donne durante il parto nel corso dell’ultimo anno, né la fame di molti che erano ben nutriti prima, né la malnutrizione dei bambini, né l’inflazione che quest’anno arriverà al 720%: niente di tutto ciò ha impedito la demolizione dello Stato di diritto. È un pregiudizio ideologico pensare che maggiori sono le contraddizioni, più è possibile un cambiamento per il meglio.
In realtà, è accaduto l’opposto. Chávez ha sempre mantenuto un’ambiguità che gli ha permesso di presentarsi come un leader democratico. Ha riformato la Costituzione nel 2009 per perpetuare il suo potere, ma quando ha governato le elezioni erano relativamente pulite, così come lo sono state nel 2015 sotto Maduro. Sono state quelle che hanno permesso una vittoria dell’opposizione nell’attuale Assemblea nazionale, che rimane ancora legittima. Dopo quello che è successo nelle votazioni per l’Assemblea Costituente, la tradizione di un regime autoritario basato su elezioni relativamente libere si è interrotta. Per eleggere i membri della Costituente sono stati espressamente emarginati i partiti democratici e si è fatto ricorso a veri e propri brogli. La stessa azienda incaricata del riconteggio dei voti, Smartmatic, ha abbassato di un milione il numero di votanti che secondo il regime ha partecipato alle elezioni. Il che porta gli elettori effettivi a 7 milioni, una cifra più bassa di quella registrata durante la consultazione organizzata nei giorni precedenti dall’opposizione. Secondo Reuters, la vera cifra sarebbe inferiore ai 4 milioni di voti, tenendo conto di coloro che sono andati alle urne sotto pressioni e minacce. Qualunque sia il vero risultato, sembra che il regime goda ancora di un sorprendente supporto. Evidentemente la rete del clientelismo politico continua a funzionare bene.
Tutto ciò rende ancora più necessaria una chiara strategia della comunità internazionale e dell’opposizione. Il Mercosur ha già attuato la Carta democratica che implica l’espulsione. Dall’Organizzazione degli stati americani non ci si può aspettare nulla perché è sotto scacco di stati bolivariani e caraibici. Le sanzioni hanno senso quando non seguono il modello applicato con Cuba: l’embargo è stato solo una punizione per la popolazione. La via da seguire è quella che la Spagna ha suggerito all’Ue: le sanzioni devono essere personali, finalizzate, soprattutto, a perseguire i criminali chavisti che sfruttano il traffico di droga e depositano le loro fortune in tutto il mondo. È fondamentale colpirli nel portafoglio e limitare i loro movimenti. All’interno, l’opposizione deve evitare la grande trappola che Maduro le ha teso con le elezioni regionali che si terranno a dicembre. Il regime vuole arrivare alla divisione che ha ottenuto nel 2005, quando la decisione di correre o meno alle elezioni legislative ha causato una scissione tra i democratici durata per anni.
La grande differenza con la Cuba del ’59 è una società civile che negli ultimi mesi e negli ultimi anni, nonostante l’assedio del tiranno si facesse più stretto, è stata in grado di organizzare mense e iniziative solidali, mantenendo una protesta generalmente pacifica. Questa è la grande novità in un Venezuela dove per decenni le differenze sociali sono state all’ordine del giorno. Questa è la grande novità e la grande speranza, anche se la dittatura dovesse sorgere ufficialmente. A volte il cambiamento propiziato dai senza potere tarda ad arrivare.