E’ successo ancora, come accadde qualche settimana fa in Egitto. Francesco, nel suo viaggio in Colombia, ha ancora una volta sciolto un nodo che pareva definitivo, o quanto meno ha indicato il cammino per scioglierlo. Al Cairo è stato il problema delle incomprensioni tra le due religioni maggioritarie, il cristianesimo e l’islam. In Colombia Francesco si è trovato di fronte a molte questioni, impossibile evidenziarle tutte. Ha però focalizzato l’attenzione sulla violenza sofferta e sulla frattura di una società nella quale paramilitari, Farc, e anche narcotrafficanti, hanno lasciato profonde ferite, e al problema storico, presente da 200 anni, di una Colombia, di un’America Latina, divisa tra i creoli e il popolo.
Si tratta di due sfide che non sono solo locali, ma anche universali nel mondo della globalizzazione: la ricostruzione dopo la violenza e l’integrazione di identità diverse. Francisco ha evidenziato una premessa di metodo che in America Latina ha una particolare rilevanza. Se c’è una parte del mondo dove si sono sperimentate mediazioni e alleanze ideologiche per dar efficacia sociale al Vangelo, questa è stata la terra che ha visitato ora il Papa. Possiamo risalire all’alleanza con il marxismo propria degli anni 70 e 80 del secolo passato, alle dittature di destra che dissero di essere cattoliche, ai nuovi populismi favorevoli agli indios o alle risposte anti populiste di taglio neo-liberista. Francesco è stato categorico di fronte alla tentazione di una presenza che cerca leve di potere o di partito: la Chiesa che vuole Francesco è una Chiesa libera da pastoie. “Alla Chiesa non interessa altro che la libertà di pronunciare questa Parola. Non servono alleanze con una parte o con un’altra, ma la libertà di parlare al cuore di tutti”, ha sottolineato nell’incontro con i vescovi a Bogotá. Il richiamo è per tutti.
Già prima del viaggio, la scelta della Colombia come meta ha rivestito un grande valore simbolico. Francesco ha voluto appoggiare un processo di pace che ha posto fine a decenni di conflitti e che ha incontrato una gran resistenza non tanto tra chi ha sofferto la violenza, ma soprattutto tra giovani di provenienza cittadina. Questi giovani, che si son serviti come riferimento dell’ex presidente Uribe, sono stati quelli che più hanno rigettato le condizioni offerte e accettate dalle Farc. Il processo di pace è stato certamente generoso e ha permesso ai combattenti di un tempo qualcosa di più che adeguarsi alla rigorosa osservanza della legge. E’ stato un grande processo di giustizia restaurativa in cui i responsabili del male lo hanno riconosciuto e hanno chiesto perdono alle vittime.
La storia della guerriglia delle Farc, iniziata a metà degli anni 60 del secolo passato, è la storia di uno dei progetti “redentori”, come qualcuno li definisce, che hanno interessato la regione dall’indipendenza dalla Spagna. Il leninismo è un ingrediente perfetto perché il paradiso in terra si trasformi in un inferno. Potrebbe sembrare che la risposta a tanto male e a tanto dolore sia una democrazia liberale più robusta. Non si può togliere importanza al valore della legge e Francesco non lo ha fatto. Il Papa è però andato più in là. Ha voluto sottolineare il valore della riconciliazione, il valore sociale del perdono, posto al centro di questa riconciliazione.
E’ stato particolarmente commovente l’incontro nel Parco delle Malocas, a Villavicencio. Francesco ha voluto ascoltare le vittime che hanno perdonato. Ha affermato che alla riconciliazione è necessaria la verità, ma “la verità non deve condurre alla vendetta ma al perdono”. “Non impediamo che la giustizia e la misericordia si incontrino in un abbraccio che assuma la storia di dolore della Colombia. Saniamo quel dolore e accogliamo ogni essere umano che ha commesso delitti, che li riconosce, si pente e promette di riparare” ha dichiarato. L’invito sembra estendersi oltre la Colombia, al Messico, all’Argentina, al Venezuela…
Francesco ha pianto con le vittime e ha aperto loro un orizzonte grande, ha reso possibile quello che qualche cronista laico ha definito “il miracolo di Bogotá”.
Le due città, la creola delle élite e la meticcia e indigena hanno partecipato, unite, a una messa con una partecipazione di massa. Sono più di duecento anni che sono due mondi separati. E il Papa ha detto loro: “tutti siamo necessari per creare e formare la società. Questa non si fa solo con alcuni di ‘sangue puro’, ma con tutti. E qui si fonda la grandezza e la bellezza di un Paese, che tutti hanno spazio e tutti sono importanti. Nella diversità sta la ricchezza”. Il valore della diversità vale per il creolo e per l’indio, ma anche per l’europeo di origine e per quello nuovo, per il nativo e per lo straniero.
Il capo delle Farc, Timochenko, ha scritto al Papa una lettera chiedendo perdono per le lacrime causate ai colombiani. Ha anche ricevuto una missiva di Álvaro Uribe, nella quale l’ex presidente espone a Francesco l’impunità di cui beneficiano i guerriglieri e le negative conseguenze economiche dell’accordo di pace. Così è il cristianesimo, un fatto presente davanti al quale si aprono i cuori. Alcuni chiedono perdono, altri rimangono attaccati al passato.