Vorrei parlare di educazione raccontando della mia esperienza di cattolico, nato e vissuto in questa cultura e tradizione. Ho cominciato a frequentare assiduamente l’oratorio negli anni che hanno preceduto il Concilio Vaticano II. Seguivo il catechismo e facevo anche il chierichetto con grande impegno e convinzione. Il tempo libero dalla scuola girava di fatto tutto intono alla parrocchia. Posso dire di essere stato educato alla fede cristiana partecipando alla vita della Chiesa. Attraverso lo scandirsi dell’anno liturgico, ho imparato, ad esempio, a vivere il valore di alcune dimensioni umane fondamentali, così come la fede le illumina: l’attesa nel periodo di Avvento; la gioia a Natale e fino all’Epifania; il lavoro attraverso la festa di San Giuseppe; il sacrificio con la Quaresima; la certezza della speranza nel tempo di Pasqua; la tenerezza nel mese di maggio dedicato alla Madonna; il raccolto maturo con Pietro e Paolo; la “festa del corpo” che è l’Assunta.
Ho imparato così che l’oggettività, sempre diversa dell’anno liturgico, può riflettersi sul sentimento e sul comportamento dell’uomo e della natura: cosa che ho apprezzato molto con il passare degli anni, visto che le giornate in genere sembrano determinate soprattutto da umori passeggeri. Sono stato educato fin da piccolo anche a vivere la carità. Ad esempio, per anni, ho raccolto la carta per i missionari del Pime. Ho frequentato poi un liceo cattolico e l’Università cattolica, dove ho incontrato il movimento di Cl. Si può dire quindi che ho conosciuto a fondo l’identità e l’educazione cattolica, che ritengo la mia strada e il mio cammino della vita.
In seguito, avendo vissuto in prima persona l’abbandono della fede di molti miei compagni di oratorio, poi del liceo, dell’università e anche di tanti del mio stesso movimento, ho scoperto che non basta appartenere e difendere delle idee. A molti che ho conosciuto e se ne sono andati, non è stato sufficiente sottolineare o conclamare pubblicamente la loro identità di cattolici. Oggi poi, il mondo è radicalmente cambiato. Mi è capitato di incontrare degli studenti di un istituto professionale, in un’area geografica tradizionalmente cattolica, e citare loro del figliol prodigo: nessuno ne aveva mai sentito parlare. Interrogati su come si sarebbero comportati al posto del padre, hanno risposto che avrebbero tirato un calcio nel sedere al figlio!
Certo è doloroso vedere come la tradizione cattolica sia abbandonata da molti, ma se ci si tiene veramente occorre stare di fronte a ciò che capita, con umiltà e fiducia, per capire da dove ripartire, quale tipo di cambiamento la realtà presente, concreta, ci indica. Proprio chi è stato conquistato da Cristo dovrebbe avere paura delle sfide sempre nuove che il mondo lancia? Per chi ha un’identità certa il tempo passa inutilmente oppure le cose che accadono avvengono per un cambiamento?
Sul tema dell’educazione può essere utile riflettere su alcuni esempi positivi che chiariscono anche il valore di un’educazione cattolica. Ma qui va sottolineata una cosa fondamentale: lo scopo di un’educazione cattolica non è principalmente di fare proseliti, ma soprattutto di dotare di strumenti per crescere nella consapevolezza e nella capacità di giudizio. Saranno i ragazzi a fare le loro scelte in piena libertà.
Accennavo prima a quanto si parta “da lontano” nell’educare i giovani. Ecco un esempio. Una insegnante di una scuola pubblica mi raccontava di una ragazza del tutto refrattaria a ogni rapporto umano, al punto che urlava nei corridoi e usciva sempre dalla classe. Nessuno sapeva prenderla. Un giorno lei la intercetta e le dice “fai quello che vuoi ma secondo me ti trucchi malissimo. Se vuoi io posso truccarti meglio”. La ragazza accetta e comincia a fidarsi, a seguirla e ad ascoltarla.
In un’altra scuola, un ragazzo considerato da tutti un po’ disadattato si presenta agli esami. I professori lo vogliono promuovere per levarselo di torno e danno per scontato che non sappia niente. Lui invece recita “L’Infinito” di Leopardi dandone spiegazione. Tutti rimangono sorpresi. Si scopre che, aiutato da un insegnante, tutte le sere nel suo cortile si era messo a ripetere la poesia e a interpretarla.
Perché una tradizione diventi davvero un patrimonio personale e non un feticcio, occorre che ci sia un incontro tra interessi umani e che ci sia un lavoro di critica che permette di comprendere il valore dai fatti. Del resto è stata anche la mia esperienza: alla scuola superiore, a un certo punto, trovai un professore di storia che affascinò tutta la classe, al punto che tanti volevano stare con lui anche al di fuori delle ore di lezione. Il motivo per cui ci affascinò così tanto è che sapeva far nascere in noi tante domande e voglia di conoscere che prima non sospettavamo neanche di avere. È questo senz’altro un esempio di educazione cristiana: facendo crescere le nostre domande crescevamo noi.
Attraverso quel professore incontrai il movimento di Cl e anche chi prese tutt’altra strada, si ricorda ancora dopo 40 anni di quella esperienza. Sono domande che aprono cammini di vita e di conoscenza sempre nuovi, che fanno riscoprire quello che credi di sapere o che ti danno nuove prospettive. Tutto quanto accade può essere di stimolo.
E ciò vale anche per il rapporto con le altre religioni. Raccontava padre Pizzaballa, allora responsabile della Custodia di Terrasanta, in un convegno in Università di Milano Bicocca nel giugno 2015, che aveva regalato il Vangelo a un professore ebreo. Questi dopo un po’ gli dice “bello questo libro, ma perché lo fate risorgere? Non c’era bisogno”. Pizzaballa che aveva studiato in seminario ed era sempre stato cattolico si trovò a dover dare ragione del significato della Resurrezione come fosse stata la prima volta. Scoprì così che non poteva bastargli la definizione teologica, ma doveva riscoprirne il significato nell’esperienza reale. Da allora capì più compiutamente – affermò in quell’incontro – come il rapporto e il dialogo con gli ebrei e con i musulmani lo può aiutare a riscoprire la propria identità ed esperienza.
Cosa suggerisce questo su educazione e scuola cattolica? Una scuola cattolica può – e deve – essere un grande aiuto soprattutto ad aprirsi alla realtà, a confrontarsi con essa, a imparare. Non per niente ai vertici delle classifiche delle performance in università, stilate dalla Fondazione Agnelli, sono proprio gli ex studenti di alcune scuole cattoliche a figurare nei primi posti. Se cade nell’indottrinamento e nella paura di perdere la sua identità, difficilmente riuscirà ad educare. Questo non significa smussare le radici cattoliche o essere reticenti sull’insegnamento della fede (che, per inciso anche nelle scuole cattoliche va scelto, non è obbligatorio), ma al contrario, proporle e sottoporle a personale verifica. Perché lo scopo di una educazione cattolica è aiutare tutti – cattolici e non – ad andare a fondo della proprie domande, della propria tradizione e criticarla – come insegnava Giussani già ai tempi del Berchet – se lo si ritiene ragionevole. Questo è contro la missione in senso proprio? Se è vero che la fede nasce da un incontro che ha a che fare con il proprio desiderio, questo la aiuta, non la ostacola.
Lo dimostra il fiorire di realtà di movimenti e associazioni che distinte dalle scuole vivono per libera scelta e l’iniziativa di ragazzi e professori nella scuola stessa. Con una sottolineatura importante che raccontava don Giorgio Pontiggia, primo grande rettore dell’Istituto Sacro Cuore, che ha educato migliaia di ragazzi a volte salvandoli da destini infelici. In un dialogo Giussani gli raccomandò che l’aula destinata alle associazioni studentesche non fosse destinata solo a Gs pur essendo il Sacro Cuore della fraternità di Cl, ma a qualunque associazione non in palese e aperto contrasto con gli scopi della scuola.
La sfida della libertà e della ragione oggi è condizione per riscoprire in modo definitivo e stabile l’identità della fede qualunque sia la crisi epocale che si debba affrontare.