Fa discutere un sondaggio molto dettagliato del Pew Research Center di Washington che certifica il sentiment di cattolici e protestanti a cinquecento anni dalla Riforma di Lutero. La stragrande maggioranza degli intervistati, sia in America che in Europa, afferma di avvertire come molto vicine le due confessioni cristiane, arrivando anche ad affermazioni molto forti: i protestanti, da un lato, in misura di quasi due terzi, sostengono che non basti la sola fede per salvarsi, mentre i cattolici, dall’altro, sottolineano in modo netto la necessità di appellarsi alla Scrittura per poter intraprendere la strada della salvezza.

Una divisione, dunque, sempre meno percepita che si accompagna a una massiccia avanzata dell’ateismo soprattutto nel nord Europa. Che cosa questo implichi per ciascuno è possibile comprenderlo alla luce di due osservazioni. 

Anzitutto è interessante cogliere il momento in cui queste risposte sono date: l’assedio interno del terrorismo e la situazione di forte tensione internazionale contribuiscono a una concezione dell’esperienza religiosa che si potrebbe definire “radicalmente antifondamentalista”: chi sperimenta e professa la fede rifiuta una religione violenta e divisiva. In quest’ottica le risposte degli intervistati appaiono come il frutto di una martellante propaganda che vede nel superamento delle barriere religiose, e della stessa religione, l’unica vera strada per la pace. Un mondo senza Dio, o con un Dio così evanescente da non essere significativo per la vita e per la società, si propone agli uomini e alle donne del nostro tempo come il “futuro ideale” su cui incamminarsi senza rimpianti.

È a questo punto, dunque, che è utile sottolineare un secondo elemento: l’ignoranza religiosa, soprattutto tra chi si professa credente, rende estranee alla coscienza dei singoli tutte quelle verità, e diversità, che caratterizzano le comunità della Riforma e le tradizioni presenti in seno alla Chiesa Cattolica. Si va insomma affermando un dualismo all’interno della stessa fede: da un lato si professano parole astratte, senza vita, mentre dall’altra si insinuano pratiche senza ragioni e fondamento se non quello di una progressiva riduzione dell’esperienza del credere alla “moda” del tempo. Ciò che è venuto meno è il legame esistenziale tra parole e vita per cui, a ciascuna parola, non corrisponde più un tratto di vita, ma solo un ragionamento. Il paradosso è che questo dinamismo sia proprio un prodotto dello stesso cattolicesimo e faccia emergere il motivo reale, sotterraneo, che spinse Lutero alla Riforma. Egli si era reso conto che la distanza tra l’ortodossia (la retta dottrina) e l’ortoprassi (il retto comportamento) era — alla prova dei fatti — praticamente insanabile nell’esperienza cristiana di inizio XVI secolo. Lo “scandalo” di Lutero sorse nell’accorgersi che i comportamenti espressi dalla quotidianità dell’Europa Cattolica erano lontani anni luce dalle parole della fede. Così, di punto in bianco, maturò l’ipotesi di eliminare tutte le espressioni e i gesti codificati dalla tradizione per accogliere solo quelli presenti nel Vangelo.

Ora, il vero problema — come direbbe sant’Agostino — è che il Verbo non solo si è fatto carne, ma “è rimasto carne” e questo permanere di Cristo nella storia rende la Tradizione della Chiesa diretta continuazione e attuazione della Rivelazione. Non esiste un tempo del Vangelo e un tempo della Chiesa, non esiste la fede dei “primi” e la fede degli “ultimi”: esiste invece un unico corpo, organismo vivente, in cui ogni cristiano è inserito per ritrovare — dal di dentro della propria esperienza — il significato delle parole che fanno grande l’esistenza alla luce di Cristo. Quello che manca, insomma, è un vero processo educativo, l’emergere di un popolo composto da tanti “Io” che hanno ritrovato la strada della fede, la carne delle parole della Chiesa.

Se questo processo non avverrà, è ragionevole pensare che protestantesimo e cattolicesimo presto convergano e che il sondaggio del Pew Research Centre sia solo l’anticipo di una coscienza che diventerà inesorabilmente più diffusa e condivisa. Il problema non è tanto concepire le due confessioni del cristianesimo come provenienti da un’unica fonte, ma viverle in modo tale da ritrovarsi — senza neppure averne coscienza — dentro un’esperienza religiosa che, di fatto, per la pressione dei media e l’ignoranza dei credenti, non ha più niente a che vedere con il cristianesimo stesso. E questo, volenti o nolenti, è il rischio più grande che oggi la cristianità occidentale si ritrova drammaticamente ad affrontare.