Il premier Paolo Gentiloni ha subito confermato la sua fiducia al governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, dopo le prime indiscrezioni sulle nuove indagini giudiziarie sulla Vigilanza. Non si è trattato di un appoggio formale, di circostanza. Chi pochi giorni fa al Meeting di Rimini ha sentito parlare entrambi, ha ascoltato voci culturalmente consonanti. Il primato della politica – nell’approccio di Gentiloni – si misura continuamente sul terreno della realtà sociale ed economica, non è mai fine a se stesso e non può chiudersi in calcoli di potere o di voto. Né d’altra parte l’economia può concepirsi in modo autonomo e autosufficiente, ha ricordato il banchiere centrale italiano: il punto di partenza dello sviluppo coincide con quello dell’arrivo ed è sempre la persona, mentre il vettore strutturale della crescita è la conoscenza e quindi l’education.
Visco sta concludendo il suo primo mandato di sei anni e la legge gli consente di essere rinnovato per un secondo.Iil governatore ha ricevuto l’incarico nel novembre 2011: forse il mese più drammatico della storia italiana recente, quando lo spread della Repubblica sotto attacco speculativo è volato a quasi 600 punti e il sistema bancario italiano – fino ad allora ben resiliente verso la crisi globale – è stato trascinato in un tunnel dal quale fatica ancora oggi ad uscire.
Visco ha preso allora il posto di Mario Draghi, chamato al vertice della Bce a pilotare l’euro negli stessi “anni di piombo”: e il primo merito (oscuro e misconosciuto) del governatore Bankitalia è l’essere stato un membro del consiglio Bce tanto paziente quanto influente. Nel duro confronto fra rigoristi nordici e paesi fragili mediterranei, l’ex capo economista dell’Ocse ha sempre perseguito l’interesse dell’Europa appoggiando gli stimoli monetari promossi da Draghi. Quegli stimoli che hanno dato anche all’Italia – non solo all’Italia – anni di respiro sul fronte del debito pubblico e del credito alle imprese.
Non meno duro e laborioso è stato per Visco l’esercizio della vigilante creditizia: dal novembre 2014 nel contesto della nuova Unione bancaria, che ha delegato alla Bce gran parte della supervisione. Chi rimprovera al governatore insufficienze o debolezze nel gestire le crisi bancarie, numerose ed estese, dimentica troppo spesso quanto la crisi finanziaria e le ricadute recessive – particolarmente pesanti in Italia – abbiano premuto sul sistema creditizio proprio quando Francoforte emenava le nuove normative unificate. Chi lamenta un uso delle nuove regole bancarie oggettivamente punitivo verso l’Italia, dimentica che negoziare con più efficacia con le autorità comunitarie era compito del governo assai più che di Via Nazionale. Quest’ultima, invece, ha quasi sempre lavorato in silenzio in fase di prima applicazione: per districare a Francoforte matasse che sembravano poter essere solo troncate con l’accetta (e a molti in Europa un crack esemplare in Italia non sarebbe affatti spiaciuto). E chi boccia i salvataggi di Mps e delle Popolari dimentica che i non-salvataggi sarebbero stati assai più gravi per l’Azienda-Paese.
Chi infine, sventola puntualmente gli avvisi di garanzia – spesso “puntuali” nel timing – dimentica che già nel 2015 la Procura di Spoleto ha messo sotto inchiesta Palazzo Koch per presunta cattiva vigilanza sul caso Popolare di Spoleto: ma il dossier è finito presto archiviato.
Chi specula sulla scadenza Bankitalia allo stesso modo con cui – quotidianamente – vengono gettati nella fornace pre-elettorale temi come l’accoglienza dei migranti o la disoccupazione giovanile, dimentica che – per fortuna del Paese – un ruolo cruciale come quello di governatore lo concordano il premier e il Capo dello Stato.