C’è un dettaglio che personalmente mi ha sempre colpito del Duomo di Milano. È quella scritta al centro della facciata in cui si ricorda l’intitolazione della cattedrale: “Mariae nascenti”. Oggi, 8 settembre, festa della Natività di Maria è dunque un giorno di festa per il grande Duomo ambrosiano. Quest’anno poi è un giorno doppiamente importante perché Angelo Scola, che ha retto la diocesi per sei anni, presiederà il suo ultimo solenne pontificale e passerà le consegne al suo successore Mario Delpini. Tanti occhi saranno dunque puntati, con emozione e commozione, su quella scritta stampata nella pietra con molta chiarezza e semplicità.
Un tempo Milano aveva una doppia cattedrale, intitolate rispettivamente a santa Maria Maggiore e a santa Tecla: quando nel 1386 la città, per iniziativa dell’arcivescovo Antonio di Saluzzo e del duca Gian Galeazzo Visconti decise di costruirne una nuova al posto di quelle due antiche, si decise per un’intitolazione diversa. Sembra che la decisione sia stata presa poiché Milano era stata colpita dalla peste che aveva falcidiato in particolare i bambini e quindi la dedicazione era un’implorazione a Maria per la salvezza dei più piccoli. In realtà la venerazione per Maria bambina era di antica data in città e aveva il suo fulcro in una chiesa che oggi non c’è più, Santa Maria Fulcorina (sorgeva nei pressi di Piazza Affari). Una venerazione così radicata che ha portato nel dopoguerra a una seconda dedicazione, con la bella chiesa progettata da Vico Magistretti al quartiere QT8.
Ecco dunque perché quella scritta campeggia sulla facciata del Duomo. Tuttavia quella scritta comunica qualcosa che va oltre l’aspetto celebrativo o commemorativo. Grazie a quel participio presente, “nascenti”, annuncia alla città non qualcosa che è accaduto, ma qualcosa che sta accadendo ora, in ogni istante; che accade ogni volta in cui si alza lo sguardo e lo si rivolge alla cattedrale. Maria non è nata una volta per tutte. Maria nasce sempre, e proprio per questo è una speranza viva donata ogni istante alla città. A tutta la città.
Se c’è un’immagine che esprime tutta la tenerezza del cristianesimo, è proprio questa del nascere ogni istante di Maria. Questo rendersi sempre presente alla vita degli uomini, questo suo essere compagnia agli uomini. “Tu non ci lascerai?” chiedeva il coro a Maria in una delle opere più popolari di Giovanni Testori; “No, figli, mai”, rispondeva lei (Interrogatorio a Maria, 1980). E, restando ancora in un’esperienza artistica, è sempre questo il senso che esprime un’opera sorprendente esposta alla recente mostra organizzata da Casa Testori al Meeting di Rimini: una tradizionalissima statua della Madonna che Alberto Garutti ha voluto soltanto fosse scaldata a temperatura corporea. Quel dispositivo di disarmante semplicità ribadisce come Maria non sia un’immagine devota, non sia un simulacro ma sia una presenza che si poteva e si può “toccare”. Vera perché vissuta così. Del resto solo attraverso una presenza così (o meglio un participio presente così…) Dio poteva rendersi famigliare agli uomini. Per questo, come scrisse san Pier Damiani, la nascita di Maria forse non è la festa più grande, ma certamente è l’inizio di tutte le feste.