Se è l’Alfa a spingere Fca negli Usa

Con un boom di vendite di nuovi modelli l'Alfa Romeo rinverdisce la sua tradizione negli Usa. E Wall Street la considera già un nuovo simbolo di Made in Italy industriale. GIANNI CREDIT

Fca macina un record dopo l’altro in Borsa e gli analisti si sbizzarriscono sulle strategie del gruppo italo-americano nel 2018: l’ultimo con Sergio Marchionne al timone a Detroit. Fiat-Chrysler – è noto – cerca un’alleanza strategica e le opzioni sono diverse. Qualche risposta potrebbe arrivare già la prossima settimana, dal Salone dell’auto in programma proprio in una rediviva Detroit. Fca sarà protagonista di una maxi-operazione, che segnerebbe forse un ulteriore distacco della famiglia Agnelli dalla proprietà? Al di là delle smentite di rito la prima indiziata resta Volkswagen. Ma una partnership potrebbe maturare a livello industriale: dove Fca sembra poter giocare anzitutto la carta Jeep. Peraltro non l’unica, anzi.



E’ stata Bloomberg, la più importante agenzia finanziaria di Wall Street, a segnalare a inizio anno l’eccezione performance messa a segno da Alfa Romeo su un mercato dell’auto Usa molto dinamico. Uno fra i più antichi marchi del Made in Italy ha visto moltiplicarsi le sue vendite per quasi 23 volte: dalle 528 vetture del 2016 alle 12.031 dell’anno appena concluso. “Un risultato anacronistico – ha osservato con ironia sottile Bloomberg – in un’industria automobilistica ipnotizzata da alimentazione verde e guida automatica”. Eppure tanto è stato: il Biscione originario dell’industria milanese si è aggiudicato il più brillante incremento del 2017 fra i car brand in Usa. Ha rinverdito “il suo sex appeal degli anni 60” e battuto l’ultima annata significativa per l’Alfa oltre Atlantico: 8.200 vetture nel 1986. Com’è stato possibile dopo trent’anni “dormienti”?



“Alfa ha fatto valere i suoi diritti di un costruttore vecchia maniera: motori potenti, solida ingegnerizzazione, design elegante”. Ed è già un caso di studio: Fca ha messo assieme guru creativi del marketing con i tecnici della Ferrari e ha detto loro di pensare in grande. Li ha lasciati lavorare senza la miriade di vincoli che oggi i grandi costruttori pongono ai loro progettisti in termini di componenti standard, per schiacciare i costi. Sono nate così una sedan e un Suv: entrambe made in Italy, nota Bloomberg, come sinonimo di best-in-class sia nel design che nelle prestazioni. L’esito è stata comunque la “cattura” di quote di mercato Usa di Bmw, Mercedes e Cadillac. E non è mancato un primo contributo ai margini di un gruppo che sta cercando di stabilizzare la sua cittadinanza globale nel ventunesimo secolo. E per quale certamente sarà prezioso ciò che è stato concepito 108 anni fa al Portello: essenzialmente uno “stile”, sottolineano tutta gli analisti. Un modo di fare auto, di fare impresa. Capace di farsi valere anche molte vite dopo, molto lontano.

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