“Ondate di risate aperte nell’atrio, sopra a cibo e bevande, e fuori tanto fumo di sigaretta da far pensare di essere sulla scena di un incendio. Questo forse succede quando metti insieme migliaia di cattolici intelligenti e amanti del divertimento, molti dei quali giovani e tutti apparentemente devoti a quel po’ di saggezza così espressa da Hilaire Belloc: Laddove il sole cattolico splende/ Ci sono sempre risate e buon vino rosso“.
Così il giornalista Christopher White ha descritto il clima in cui si è trovato immerso lo scorso weekend nei padiglioni che ospitavano in New York Encounter, il meeting americano di Cl. Intendiamoci, con questa osservazione non ha voluto sottovalutare la ricchezza culturale dell’evento, a partire dal titolo “L’impossibile unità”, considerato cruciale nel contesto di estrema frammentazione in cui si trovano sia l’America che la Chiesa, ma ha voluto ricordare che “la Chiesa è al suo meglio quando offre una pubblica testimonianza di gioia, anche in tempi difficili”.
Capacità di gioire e di condividere la gioia è ciò che da tempo è sotto i riflettori anche di psicologi, sociologi e persino degli economisti, al punto che l’Economist ha di recente dichiarato che nel 2018 la felicità verrà inserita tra gli indicatori economici, al pari di quelli classici. Un passo apprezzabile, soprattutto per chi è stato educato a domandarsi: “che giova guadagnare il mondo intero se poi perdo me stesso?”.
Ma cosa vuol dire essere felici? Possedere un equilibrio interiore? Raggiungere gli obiettivi che ci si prefigge? Essere amati? Sarà interessante approfondire quale complesso di parametri saranno usati per descrivere uno stato di felicità. Ma se sotto questo termine si nascondono miriadi di sfumature e di idee sull’essere umano, va notato però che tutti gli studi concordano su un punto: la possibilità di essere felici dipende dall’apertura al rapporto con gli altri. Come ha sintetizzato il New York Times, “ricerca dopo ricerca, si mostra che i buoni rapporti sociali sono il più forte, il più costante predittore di una vita felice”.
Un’altra ricerca mostrava quanto sia salutare persino scambiare due chiacchiere con uno sconosciuto, qualcuno che non incontreremo più. Una piccola episodica apertura all’altro che rimette in moto un rapporto positivo con se stessi.
Se quindi, l’apertura alle relazioni umane è in grado in qualche modo di farci vivere un rapporto migliore con noi stessi, quanto più un rapporto in cui si condivida un’esperienza bella della vita, un sentimento buono del senso ultimo dell’esistenza, sarà decisivo per far nascere quella gioia autentica che si vede dominare in un raduno come il New York Encounter.
Trecento persone tra i 16 e i 60 anni hanno percorso migliaia di chilometri da tutti gli Usa per recarsi a New York, pagandosi viaggio, vitto e alloggio e prestare il loro lavoro volontario per realizzare l’Encounter. Svolgono anche mansioni molto umili, come pulire per terra, fare il caffè, stare al guardaroba, e si perdono anche gli incontri, ma sono felici di dare il loro contributo, “più che se avessi fatto una vacanza in un resort”, mi ha detto uno. Persone rese contente dalla condivisione di un’esperienza di fede e contente di servire un progetto comune.
Non siamo nel mondo dei sogni o in un contesto facile. Sicuramente non lo è Susan che a quarantacinque anni, dopo essersi dedicata alla famiglia, ha dovuto ricominciare a studiare e a lavorare perché la vita a New York in tempo di crisi era diventata troppo cara. Ogni giorno ha un’ora e mezza di strada da fare per andare a lavorare. Quando torna a casa deve studiare, dedicarsi a marito e figli e prepararsi per il lavoro. Le ore di riposo sono molto poche e i conti a fine mese fanno sempre fatica a tornare. Ma lei è contenta. Perché? “Perché so che la mia storia è dentro un disegno grande di bene, quello del popolo di Dio”.
Ci sono anche vicende eccezionali che accadono in questo ambito e rendono il cuore capace di respirare più profondamente. Come quella del poliziotto ferito per strada da una gang il quale, rimasto paralizzato, ha usato il tempo che gli è rimasto da vivere per andare ovunque a parlare di perdono.
Un aspetto più di altri però rivela la gioia e la speranza del popolo dell’Encounter: la passione educativa di tanti di loro che, sfidando il divieto imposto nelle scuole agli insegnanti di non frequentare gli alunni al di fuori delle ore di lezione, costruiscono ambiti in cui poter condividere del tempo, degli interessi, i problemi e la vita. Mentre ovunque la paura di violenze fisiche e psicologiche rende sospettosi e isolati, c’è ancora chi dona sé commosso e lieto perché altri possano scoprire il volto buono del mistero.