Se il 2017 è stato l’anno delle fake news, è arrivato il momento di mettere un argine. L’obiettivo è far sì che esse non interferiscano, come hanno fatto, nelle elezioni e che non aumentino l’instabilità, com’è successo nei delicati momenti vissuti in Catalogna. C’è la capacità di fermare le vecchie e nuove bugie? Macron, il “ragazzo intelligente e colto” delle democrazie europee, ha annunciato la scorsa settimana un disegno di legge per controllare le televisioni di stato straniere (cioè russe) e per dotare di maggior trasparenza Internet. In altri momenti sarebbe stato difficile per un leader della “rigenerazione istituzionale” proporre così tranquillamente un maggiore intervento dello Stato per limitare la libertà di stampa. È il segno dei tempi. La Spagna ha inserito nella sua strategia di sicurezza nazionale la lotta contro le notizie false. La Nato lavora a una strategia in questo campo che dovrebbe essere pronta entro la fine dell’anno.

Le notizie false minacciano la democrazia per due motivi. Uno è ovvio: ci sono poteri interessati a usarle. Il secondo si riferisce al modo che abbiamo di relazionarci con la realtà. La disinformazione è diventata un’arma di destabilizzazione. E l’esempio più chiaro è la cosiddetta “guerra di combinazione” (kombinaciya) usata dalla Russia per integrare la guerra cibernetica, l’intelligenza informatica, la disinformazione e la propaganda. La nuova arma funziona perché il nostro modo di informarci è cambiato radicalmente. I media classici (radio, televisione, stampa), anche i siti di notizie su internet, stanno passando in secondo piano. I social network diventano le fonti principali per connettersi con il mondo: il 44% degli americani già si informa tramite Facebook. Il cambiamento ha fatto sì, come segnala Andrés Ortega, analista presso l’Istituto El Cano, che “viviamo in bolle di informazione, in camere dell’eco o di risonanza”.

I social network spesso moltiplicano “l’effetto tribù” generato dallo smarrimento della globalizzazione e delle società pluralistiche. I media classici, anche se influenzati da orientamenti ideologici, hanno una certa tendenza alla verità. Nel consumo tribale dei social network questa tensione scompare. Il filtro emotivo, che riduce l’apertura della realtà alle proprie inclinazioni, è giustificato a priori. I membri di una certa “etnia informativa” vogliono ascoltare solo ciò che credono già di sapere. I fatti sono diluiti fino a diventare un pretesto. Il fatto di informare e informarsi è un esercizio pratico (e umile) di una razionalità che abdichiamo troppo spesso. Un altro segno di questa era segnata dalla sfiducia e dalla paura della ragione.

La debolezza critica, che rinuncia ai fatti e alla loro osservazione, è ciò che consente il successo della disinformazione. Con soli 200 dollari di investimenti in pubblicità su Facebook si può creare un conflitto civico tra indignati per la presenza di immigrati musulmani e indignati per la crescente islamofobia. È quello che un gruppo russo ha fatto in Texas nel 2016.

Non abbiamo fiducia nella nostra capacità critica. Poco più di un anno fa il Pew Research Center ha pubblicato un rapporto secondo cui sebbene quasi l’85% degli americani si mostrasse molto fiducioso o abbastanza fiducioso nel riuscire a distinguere una storia falsa da una vera, l’88% ha dichiarato che le notizie false creavano confusione. La sfiducia nei politici, nei media e nella stessa società è, secondo Victor Pérez Diaz, ciò che caratterizza il momento che vive la Spagna. Questa sfiducia rafforza “l’abbattimento e l’irritazione”.

Si può insistere sulla forza dei meccanismi usati dai nuovi poteri. È ciò che viene fatto quando viene sottolineata l’importanza dei progetti di ingegneria sociale in altri ambiti. Si può anche sottolineare, con una certa ingenuità, il valore dei meccanismi statali o interstatali come quelli annunciati da Macron, per risolvere il problema. Quei meccanismi sono necessari. Ma l’essenziale di fronte al potere, vecchio e nuovo, sarà sempre favorire un’esperienza critica. La fonte di liberazione non può che essere un cittadino che esce dalla sua bolla informativa e aspira a osservare con attenzione e passione i fatti, giudicandoli non per quello che dicono gli altri, ma in base ai criteri che lui stesso ha. Siamo troppo spaventati dall’unica cosa che può renderci liberi: la nostra capacità di esaminare notizie, tradizioni e immagini con i criteri oggettivi che abbiamo negli occhi.