Come ricordava il ministro degli Esteri Enzo Moavero all’ultimo Meeting di Rimini, le regole in vigore nell’Unione europea vanno rispettate da tutti gli Stati membri: come sempre in uno “stato di diritto”. Vi erano quindi pochi dubbi che la Commissione Ue potesse derogare nella valutazione della manovra di bilancio varata dal governo italiano per il 2019. Lo stesso ministro dell’Economia, Giovanni Tria, nel presentarla a Bruxelles, si è dichiarato “cosciente di aver scelto un’impostazione della politica di bilancio non in linea con le norme applicative del Patto di Stabilità e Crescita”. Fin qui la meccanica istituzionale dei Trattati di Maastricht: in vigore dal 1991 e fino al giorno in cui Il Consiglio dei capi di Stato e di Governo dell’Unione decidesse di modificarli.
Un’Italia con il rapporto debito/Pil al 133% (a tre cifre, più del doppio del 60% giudicato “normale” dalla Ue) non può consentirsi un deficit al 2,4% ((la Francia può invece permettersi il 2,8% con un drastico taglio alle tasse, potendo contare su un debito pubblico a quota 97). Non può concederselo un budget italiano con coperture indeterminate (anche alla voce “pace fiscale”) e – soprattutto – finalizzato tout court a misure come il “reddito di cittadinanza” oppure l’allentamento della riforma previdenziale del 2011. Ma ora?
La parola torna sia ai politici che ai tecnici. Molti dei quali sono già in azione: anzi non hanno mai smesso di operare per “un compromesso”, come ha detto significativamente il presidente della Bce Mario Draghi davanti al Parlamento europeo (in scadenza come la Commissione di Bruxelles). Se il banchiere centrale (italiano) dell’euro è sicuramente il “tecnico” più importante in campo, il “politico” in ruolo-chiave si annuncia ancora una volta il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il quale ha firmato la manovra: dando ultima legittimità democratica all’orientamento di politica finanziaria del governo Conte. Una prospettiva che la lettera di Tria a Bruxelles ha elaborato con efficacia, scrivendo di “una decisione difficile ma necessaria alla luce del persistente ritardo nel recuperare i livelli di Pil pre-crisi e delle drammatiche condizioni economiche in cui si trovano gli strati più svantaggiati della società italiana”. Nel contempo il Quirinale non ha mancato di tenere letteralmente la porta aperta con Bruxelles: ricevendo nei giorni scorsi a Roma il commissario Ue agli affari economici Pierre Moscovici. Ancora, si scorge l’iniziativa di Mattarella e Moavero nel cogliere un’opportunità nell’ennesima crisi fra Italia e Francia sulla questione-migranti. Con un’apertura non del tutto attesa, Christophe Castaner, nuovo ministro dell’Interno dell’amministrazione Macron, ha detto di voler incontrare il vicepremier italiano Matteo Salvini: il quale attende ora a Roma il collega parigino. Il possibile compromesso sulla legge di stabilità italiana passerà anche da qui: e da infiniti altri canali di diplomazia informale. Ma su quali contenuti?
All’inizio di settembre, in questo stesso spazio, Il Sussidiario suggeriva di “spendere bene il 2% di Tria”. La raccomandazione sembra ancora attuale. Il 2% era stato indicato dallo stesso ministro dell’Economia come possibile asticella di compromesso con Bruxelles. Il premier Conte (e dietro di lui il vicepremier Di Maio) insistono che non esiste “piano B”, ma vi sono pochi dubbi sul fatto che un ridimensionamento (non drastico) del deficit previsto per il 2019 potrebbe mutare il giudizio della Ue (che rimane il vero interruttore delle scariche-spread). E’ altrettanto probabile anche l’apprezzamento da parte della Commissione per una rimodulazione dell’utilizzo del deficit: con una minor esposizione alla spesa assistenzialistica e una maggior proiezione verso l’investimento infrastrutturale e sociale (secondo fonti attendibili, l’autocorrezione della manovra potrebbe iniziare con la probabile limitazione al solo 2019 della “quota 100” per le pensioni anticipate). Non da ultimo, in ogni caso, il governo italiano difficilmente può rimanere silenzioso sul fronte della riduzione del debito, limitandosi ad accusare austerity e recessione per la compressione del Pil nei parametri. Difficilmente può pensare di non riaprire il dossier-privatizzazioni: di non annunciare, ad esempio, all’Ipo di Borsa delle Ferrovie, utilizzandole invece come veicolo per una ripubblicizzazione pura e semplice dell’Alitalia.
Il resto, naturalmente, lo faranno politica e diplomazia, nel pieno della lunga campagna elettorale per il voto europeo del 26 maggio. Ma sarebbe un errore non partire dai fondamentali economici. E rifiutare il rispetto delle norme democraticamente formulate in Europa – anche dall’Italia – sarebbe il contrario della democrazia: anche in Italia.