Nelle immagini street view delle mappe di Google, ravanando di mouse circa all’altezza del civico 335 di Viale Monza a Milano, la vedovella, la fontanella di acqua potabile in ghisa color verdone, si vede che c’è. Almeno, c’era: la foto è di luglio 2018, estate: tre ragazze (bianche), una con bici, sono alla beva. Attorno, nessun segno visibile di degrado. A pochi passi l’ingresso alla mensa “Pane quotidiano”, che tra qui e viale Toscana offre gratis quasi 3mila pasti al giorno a persone bianche o diversamente bianche di pelle ma uguali in povertà.

Goffa ingiustizia — La vedovella adesso non c’è più. Il signor giovane presidente leghista del Municipio 2, Samuele Piscina, visto che “senzatetto” ed “extracomunitari” usavano l’acqua anche per lavarsi, l’ha fatta portar via per ripristinare il decoro, dare addosso al sindaco di sinistra e andare a consensi, come si va a funghi o altro. Voilà: pregiudizio ideologico e banale convenienza del momento producono goffa ingiustizia. Qui con annessa pena del contrappasso: il Piscina, pur di non abbeverare l’extracomunitario, asseta anche gli autoctoni, deprivati per di più di un vecchio simbolo, la vedovella verdone, cara da sempre ai milanesi.

Gara per Alex — Un certo numero dei quali, se gli fai vedere le cose attraverso la cataratta del pregiudizio ideologico, magari tirano fuori il peggio di sé, e muoia la vedovella e tutti i filistei. Se invece il bisogno lo vedono, magari con un aiutino, nella sua trasparente realtà, con il volto reale di uno che soffre, è tutta un’altra musica. Per esempio: centinaia, migliaia di persone, che hanno avuto davanti agli occhi il volto del piccolo Alessandro Montresor, bisognoso di trapianto del midollo osseo a causa di una rarissima implacabile malattia genetica, non hanno esitato a mettersi in coda per sottoporsi al test di compatibilità. A Milano, poi a Napoli, Caserta… Da tutta Italia, quasi 10mila persone si sono iscritte in questi giorni al registro nazionale dei donatori di midollo osseo. Il discriminante tra la deprimente farsa delle vedovelle e il dramma edificante di Alex non è affatto l’opzione sicurezza o buonismo. Sta invece nella posizione — di chiusura o di apertura — di fronte alla realtà, alla concreta realtà personale. E’ un’alternativa che si pone dentro di noi, dentro la nostra stessa libertà. Ma anche il messaggio da fuori conta: perciò occhio a distinguere fra chi ti orba di pregiudizio e chi ti apre al reale.

Donne ugandesi — Nell’apertura al reale facciamo i conti con il fondo di noi stessi: il bisogno di un significato totale, infinito, del vivere, a cui ogni bisogno preso sul serio rimanda e che ci accomuna tutti, anche nel bisogno di abbeverarci alla vedovella. Il Messaggero ha riferito dell’intervento-choc al Sinodo dei Vescovi di un 39enne lombardo, Matteo Severgnini, volontario ciellino in Uganda dove dirige la High School “Luigi Giussani”. La scuola — 500 iscritti, il 43 per cento accede all’università (!) — è una tappa avanzata del cammino di riscatto e di emancipazione per tutti; in particolare per numerose donne del nord del Paese, vittime di violenze, stupri e soprusi di ogni genere, che avevano contratto l’Hiv. Il cammino, iniziato già negli anni 90, l’hanno fatto con Rose Busingye, straordinaria figura di infermiera, che si è impegnata a curarle, a stare con loro, ad accompagnarle nel lavoro in una cava a sminuzzare pietrisco per guadagnarsi di che vivere, a studiare. A ritrovare se stesse, una ragione per vivere. Tutta la storia è emozionante e qui non bastano le righe. Ma il clou è quando Rose si accorse che quelle ragazze erano così distrutte dentro che lasciavano marcire i farmaci senza assumerli. Non gli importava di guarire finché non hanno percepito il valore della propria persona, sperimentando in una profondissima e semplice compagnia umana il fatto che per il Signore nessuno è niente. Allora hanno avuto una ragione per lottare contro la malattia, spaccar pietre, studiare: vivere.

Anche solo per uno sguardo come quello di Rose vale la pena donare il midollo osseo. E se proprio non ce la fai, lascia almeno che sia una vedovella a far sentire a un povero assetato o magari anche sporco, con un po’ d’acqua fresca e pulita, che non è un nessuno.