Nel lungo e faticoso turnaround dell’Azienda-Italia, i distretti industriali restano pistoni ad alta efficienza nel motore manifatturiero nazionale, anzi: veri e propri capisaldi nella difesa attiva del Made in Italy. In giornate difficili – fra preoccupanti bollettini Istat sul ciclo del Pil e valutazioni severe da parte delle agenzie di rating – i monitor periodici pubblicati dall’ufficio studi di Intesa Sanpaolo hanno fornito spunti confortanti, ma soprattutto indicazioni evidenti su percorsi elettivi di politica industriale.
Il Triveneto ma anche l’Umbria; la Lombardia ma – non ultimo – il Mezzogiorno. Alla scadenza del secondo trimestre dell’anno, tutte le area-sedime oggetto del monitoraggio periodico sui 153 distretti italiani hanno registrato un progresso nell’export. Nel Nordest (40 distretti più tre “poli tecnologici”) i 16,8 miliardi di export registrati dalle imprese partecipanti a filiere o comunità locali integrate nei primi due trimestri costituiscono il miglior risultato di sempre. Ma anche il +5,8% annuo messo a segno nel secondo trimestre 2018 dai distretti lombardi è un dato di rilevo assoluto, composto di varie “avanzate” di primo livello: in Germania (+8,2%), in Cina (+14,5%), negli Usa (+11,1%).
Spunti significativi giungono, al solito, dal monitor sul Sud. Fra aprile e giugno i distretti della macro-area hanno invertito la tendenza dopo un inizio d’anno non facile: il +2,6% aggregato è pressoché in linea con la performance-Paese, ma non è ovviamente omogeneo in tutto Mezzogiorno. Emerge, ad esempio, il grande spunto della meccatronica barese, traino dell’export regionale. In Campania si conferma intanto il dinamismo del distretto conserviero a Nocera. Il discreto ciclo dell’Europa centro-settentrionale non è stato invece sufficiente, la scorsa primavera, a far progredire distretti come il lattiero-caseario in Sardegna, l’ortofrutta a Catania o l’arredo in Abruzzo: tutti in trincea soprattutto sul fronte statunitense.
Tuttavia il direttore generale del Banco di Napoli, Francesco Guido, nel commentare il monitor è stato categorico: “Per i distretti del Sud le opportunità di crescita restano grandi” e queste sono in parte celate nei divari tuttora da colmare rispetto ai distretti del Centronord. Il confronto con i mercati internazionali rimane la molla capace di sollecitare le imprese a cercare la crescita dimensionale e a rispondere con investimenti in capitale umano alle nuove esigenze di competitività. E il distretto è già di per sé un “capitale socioeconomico” su cui contare: un modo concreto di pensare la ripresa e un nuovo sviluppo.
Nell’Italia meridionale i gap maggiori rimangono comune “oltre i cancelli” delle fabbriche: nell’articolato tessuto delle infrastrutture che promuove e facilita l’effetto-sistema dei distretti. E si tratti di logistica o di education – di un interporto o di un Its – è il distretto che formula naturalmente la domanda di politica industriale, che orienta un progetto/investimento da parte dello Stato, di una Regione, di una partnership locale o anche internazionale.
Perché nella manovra 2019 – almeno nei suoi titoli-media – non s’è letta la parola “distretto”?