Il Sinodo che si tiene a Roma in questi giorni ha apparentemente a tema “i giovani”. Infatti tutte le volte che la Chiesa si interroga su come parlare ai giovani, ciò che in realtà si sta domandando è qualcosa di più radicale e definitivo. La domanda ultima che anima il Sinodo è se il cristianesimo ha ancora qualche possibilità di parlare al cuore dell’uomo, ad un giovane del nostro tempo. C’è ancora spazio per la fede? 



Come sempre accade tutte le volte in cui nella vita fa capolino una questione vera, non si fa neppure in tempo a porre tale questione che la realtà subito inizia a rispondere. Nel mondo cristiano sono fioriti negli ultimi anni irrigidimenti e moralismi che vorrebbero ridurre la fede ad un mero riproporsi di ciò che — un tempo — è stato bellissimo. All’opposto nascono iniziative di dubbio gusto che fanno della fede o una strategia (è di questi giorni la notizia di un sacerdote che ha trasformato il percorso della Cresima in una card a punti) o un servizio (esistono pagine Facebook dove chiedere preghiere, prenotarsi per confessioni, cercare una qualche forma di supporto spirituale) o un bene di consumo (la bizzarria di una comunità del sud del paese che ha messo nelle macchinette automatiche rosari o ammennicoli religiosi vari). In tutti i casi la proposta cristiana è rivolta o a quello che è stato o a quello che non c’è ancora e che il nostro impegno — o il nostro engagement — produrrà. In questo confuso trambusto ieri è accaduto un fatto: nel dare il benvenuto ai due vescovi cinesi che per la prima volta partecipavano ad un Sinodo dopo l’accordo fra la Chiesa e il governo di Pechino, Francesco si è commosso fino alle lacrime. 



È da quel pianto che ricomincia il cristianesimo, dalla percezione di trovarsi dinnanzi a Qualcosa che c’è già e che già ci ha preceduto. Qualcuno che ci ha preceduti e che noi dobbiamo soltanto seguire. È lo storico passaggio da una Chiesa sedentaria e occupata da se stessa ad una Chiesa pellegrina, all’inseguimento di Uno che Vive. Ieri abbiamo visto tutti che cosa accade quando un uomo — anche il Papa — si lascia toccare fino in fondo da Qualcosa che c’è e che opera: tutto si fa più vero, più chiaro, più commovente. 

C’è speranza per la fede perché la fede non dipende dall’uomo, ma da Qualcuno vivente. La Chiesa riunita nel suo Sinodo deve in questi giorni decidere se rimettersi in cammino o se confidare in una strategia di rinnovamento o conservazione. Tutto è possibile, ma le lacrime del Papa squarciano il cammino e indicano a tutti una strada. Occorre solo il coraggio di percorrerla fino in fondo, fino a fare della fiducia nel Mistero il modo con cui vivere e stare dentro la storia, dentro ogni storia, di questo nostro tempo.