L’illusione del controllo totale

Siamo sicuri che il rimedio all’insicurezza che attanaglia le nostre vite sia quello di sottoporci a sistemi di controllo sempre più occhiuti e perfetti?

La Regione Lombardia, che è sempre un po’ più avanti, sta per varare una legge che sovvenziona l’installazione delle telecamere nelle aule di scuole materne e asili nidi che ne facciano richiesta. Comunque lo si giudichi, il provvedimento non per sé è mirato alla trasparenza didattica ed educativa della scuola, ma alla sicurezza.

Secondo le norme attuali, è già possibile ovunque che l’autorità giudiziaria e le forze dell’ordine dispongano videosorveglianze sulla base di esposti o denunce, all’insaputa dei diretti interessati e con dati visibili solo agli inquirenti. Questo è il livello minimo, già in atto. I passi in più, eventuali, in quale direzione andrebbero? In quella che già sperimentalmente in certe scuole degli Stati Uniti e del Canada viene attuata. E cioè la possibilità che i genitori possano collegarsi da remoto con server dedicato della scuola e osservare da casa o sullo smartphone e ascoltare in ogni momento quello che accade nell’aula.

Ora, chi fa come si deve l’insegnante, come qualsiasi altra professione, non ha di per sé gran che (proprio nulla magari no, ma insomma, quasi nulla) da temere dall’avere pareti di vetro e l’audio amplificato.

Ulteriore riflessione da fare, nella concreta temperie culturale e psicologica di oggi, riguarda l’enorme diffusione dell’insicurezza, e quindi della paura, e la tendenza a cercare rassicurazione nei sistemi di controllo a tutti i livelli.

Uno che sulla paura (del terrorismo e di tutto il resto) la sa lunga in quanto ne è acuto studioso, Olivier Roy, è tornato sul tema in un dialogo con Julián Carrón, a Firenze, per la presentazione del libro Dov’è Dio?. Ha detto: “Le radici dell’insicurezza affondano nel nostro modo di vivere, sono segnate dall’indebolimento dei legami interpersonali, dallo sgretolamento delle comunità, dalla sostituzione della solidarietà umana con la competizione senza limiti, dalla tendenza ad affidare nelle mani di singoli la risoluzione di problemi di rilevanza più ampia, sociale. La paura generata da questa situazione di insicurezza  si diffonde su tutti gli aspetti delle nostre vite”. E ancora: “Di fronte a sfide di una complessità che sembra insopportabile, aumenta il desiderio di ridurre quella complessità con misure semplici, istantanee. Oggi le persone cercano i safe spaces, molto popolari nelle università americane e in arrivo anche in Europa, vogliono vivere in spazi sicuri, contesti dove l’altro è il riflesso di sé, non una diversità».

Ma poi il videocontrollo è una bacchetta magica?

Ci aveva già avvertito Bauman: “Quand’anche avessimo tirato su tutte le protezioni nella società, le fragilità dei traguardi che avremo raggiunto non evaporeranno, né scompariranno. A quel punto potremmo risvegliarci, e sviluppare gli anticorpi contro le sirene di arringatori e arruffapopolo che tentano di conquistarsi capitale politico con la paura, portandoci fuori strada. Il timore è che, prima che questi anticorpi vengano sviluppati, saranno in molti a vedere sprecate le proprie vite».

E in una trasmissione recente di Guancluca Nicoletti, Melog, su Radio 24, uno dei rari spazi mediatici in cui non si sbraita ma si cerca di ascoltarsi, il criminologo dell’Università di Milano Bicocca, Roberto Cornelli, ha in sostanza documentato che l’occhio elettronico aiuta le indagini, ma non vi è evidenza scientifica che abbia un’efficacia deterrente e di prevenzione.

C’è una possibilità di non sprecare le nostre vite, ora?

Roy ha detto che siamo in una decadenza tipo fine dell’impero romano: «Ma cosa è venuto dopo? L’Europa cristiana. Credo quindi che dovremmo essere più ottimisti, come Carrón”.

E cosa dice Carrón, in quel dialogo fiorentino? “Oggi tutti hanno paura, pensando al futuro dei propri figli o allo spread, ma i primi cristiani non hanno dovuto aspettare che tutto fosse sistemato, per iniziare ad accorgersi che incontrando Gesù avevano incontrato un uomo che era risposta adeguata all’umano”.

Videocamera sì, videocamera no, bisogna che uomini e famiglie con un minimo di anticorpi ricreino una comunità educativa, che si basa non sul sospetto e il controllo, ma sul dialogo e la fiducia. Il che dice di un gran lavoro da fare. Dopo di che possiamo anche farci un selfie e postarlo. Sì, ma dopo.

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