Inter e Milan si sono accordate fra loro e con il Comune di Milano per progettare un nuovo stadio (più probabilmente per ristrutturare il “Meazza”). Può sembrare poco a confronto di New York: a un passo dall’aggiudicarsi “Amazon HQ2” con annessi 45mila millennial hi-tech (ma anche Google ha appena acquistato una vasta area a Manhattan per raddoppiare uffici, laboratori, spazi pubblici nella Grande Mela).
In Italia la mossa rossonerazzurra – al tavolo del sindaco Beppe Sala – va d’altronde a confrontarsi con la brutta tragicommedia in scena a Genova sullo sfondo del ponte Morandi. Qui a tre mesi dal crollo non vi sono certezze neppure su tempi e modi della demolizione: una minima misura di sicurezza in attesa della ricostruzione. Pesano irresolutezze (incompetenze) e inerzie ideologiche del ministero delle Infrastrutture a guida M5S. La stessa non-cultura di governo che ha arroccato Torino sul “no” sia alla Tav sia alla candidatura per le Olimpiadi invernali 2026.
Milano e Cortina hanno invece deciso di andare avanti lo stesso nella corsa per i Giochi. L’1 ottobre il Coni ha ufficializzato la loro candidatura: formalmente non “italiana” ma “lombardo-veneta” (con il sostegno delle due Regioni, non del governo, almeno non ancora). Il 7 novembre il presidente del Cio, Thomas Bach, in visita in Italia, ha detto che “il progetto italiano può farcela” (la candidatura concorrente della canadese Calgary sembra meno solida e motivata). E il 9 novembre Inter e Milan hanno firmato un protocollo d’intesa con il Comune, impegnandosi a completare entro fine anno l’esplorazione delle opzioni per un nuovo stadio.
Quella di ricostruire la “Scala del calcio” rimane un’ipotesi forte, forse la più forte. Il perno è una radicale rimessa a nuovo: sulla scia di quanto fatto una decina d’anni fa per lo stesso Teatro e sulla falsariga urbanistica delle nuove eccellenze europee in campo calcistico (Allianz Arena a Monaco di Baviera, Ajax Arena ad Amsterdam, Emirates Stadium a Londra, etc). Uno “stadio olimpico”? Si vedrà. Di certo non sarebbe mai una cattedrale nel deserto da lasciare in pasto alle erbacce a Giochi finiti.
In due mesi un Comune e due Regioni – non omogenei sul piano delle maggioranze politiche alla guida amministrativa – hanno comunque maturato un consenso operativo su un progetto-Paese, lo hanno posto con buone chance ai blocchi di partenza di una gara di profilo globale, hanno stimolato la reazione immediata di due realtà sportive di grande blasone “glocal”. Che entrambi i club milanesi siano oggi di proprietà cinese non fa che aggiungere interesse e allargare gli orizzonti. Chissà cosa sarà nel 2026 ciò che oggi è solo un giovanissimo brand geopolitico (“Via della Seta”), assai meno affermato dei cinque cerchi olimpici, dei loghi centenari di Inter e Milan, dell’evocativo toponimo “San Siro”, fino al 1926 memoria sbiadita di una vecchia chiesa di contado. Ma i “loghi” – i più disparati carismi di civiltà – hanno la tendenza irresistibile a cercarsi, a ritrovarsi. In fretta. Quasi sempre senza sbagliarsi.