L’immagine è quella del noto aforisma: immersi nel rumore di un albero che cade si rischia di non accorgersi della foresta che cresce.
Il mondo dell’artigianato è in crisi quanto e più del resto delle imprese. Tra il 2009 e il 2017 sono state chiuse in media 52 attività artigianali al giorno, mentre la dinamica delle altre imprese è sempre rimasta positiva, aumentando del 3,4 per cento.
Vale la pena innanzitutto capire perché, nonostante il “rumore” delle grandi difficoltà che sta attraversando il comparto, esso rimane una “foresta”, cioè un tipo di economia con un valore fondamentale per il tessuto sociale del Paese. Il fatto è che gli artigiani, sia che si avvalgano di semplici attrezzi o delle più moderne tecnologie, più di ogni altro usano l’abilità delle loro mani e la loro creatività per modellare la materia in modo bello e personale.
La “foresta artigiana” è perciò un’economia per l’uomo che fa del bene non solo a sé stessa, ma a tutto l’ecosistema del mondo produttivo. Innanzitutto perché indica a tutti, produttori e consumatori, che c’è un modo per superare la dittatura del consumismo e di ciò che è funzionale ma brutto, come tanti prodotti fatti in serie che ben conosciamo. Oggi l’artigianato mostra che si possono realizzare oggetti “belli e ben fatti” a prezzi economici, accessibili anche alle classi meno abbienti.
E non è vero che sono destinati solo a un piccolo mercato locale. Un amico imprenditore mi ha detto che andare nel mondo con una piccola impresa è come guidare un motoscafo in un mare popolato da transatlantici, quando devi cambiare rotta hai un grande vantaggio competitivo. Dopo anni di ossessione sulla necessità di ingrandire le imprese, l’artigianato mostra che le piccole imprese sono fondamentali nel panorama economico. La loro grande flessibilità, la loro capacità di reinventarsi a fronte dei frequentissimi cambiamenti dei mercati internazionali e dei gusti dei consumatori, ne fa un soggetto modernissimo e insostituibile nell’era della globalizzazione.
Inoltre, le difficoltà economiche stanno facendo emergere i prodotti di alta qualità, che valorizzano le tradizioni secondo stili di vita contemporanei e, nello stesso tempo, spingono a soluzioni innovative.
C’è un altro aspetto da cui si intuisce l’importanza dell’artigianato per tutta l’economia. In questo settore viene data vita ad attività che si tramandano da padre in figlio, si estendono ai familiari, ai parenti, agli amici sottraendo alla povertà nuclei di popolazione. In un momento in cui sembrano riaffermarsi politiche assistenzialistiche per ovviare a disoccupazione e povertà, l’artigianato mostra una via alternativa per aiutare i meno abbienti, quella di uno sviluppo diffuso.
Questo mette in luce l’aspetto forse più decisivo nel momento attuale: il bisogno di recuperare fiducia. Quando si è piccoli e soli viene inevitabilmente meno la voglia di rischiare e creare. Da tempo non si parla quasi più delle reti d’impresa. Eppure, così come a livello personale, anche per le imprese intraprendere rapporti di condivisione, se non di collaborazione, è fondamentale per ritrovare le energie per affrontare le difficoltà, scambiarsi conoscenze, scoprire sinergie.
Anche per questo tutte le esperienze di incontro non virtuale ma reale tra imprenditori, collaboratori, clienti andrebbero incoraggiate. E anche a questo elemento, tutt’altro che trascurabile, si deve il successo di manifestazioni come l’Artigiano in fiera. Al di là dell’aspetto commerciale infatti, non può essere sottovalutato il valore dell’incontro personale, dello scambio di opinioni, gusti, impressioni, opportunità, oltre che della possibilità di vedere tanta creatività, bellezza, novità.
Eppure, tutto questo mondo è in grave difficoltà. Cosa potrebbe aiutarlo a ripartire? È difficile, praticamente impossibile, che un grande atleta, anche il migliore, vinca una gara di corsa se lacci e lacciuoli lo legano ai blocchi di partenza. Per quanto corra veloce poco dopo rallenterà fino a fermarsi. Ebbene, questi freni sono la burocrazia, la pressione fiscale, le difficoltà a ricorrere ai finanziamenti delle banche, i vincoli crescenti sulla legislazione del mercato del lavoro che, per lottare contro il precariato imposto dalle multinazionali, uccide la flessibilità e il lavoro stesso, non come posto fisso ma come percorso.
A questo si aggiunge la mancanza, tipica di quasi tutta la Seconda Repubblica, di una politica industriale. La situazione si è aggravata con gli ultimi sconvolgimenti politici. Non bastano infatti le leggi finanziarie, ma occorrono anche provvedimenti che aiutino lo sviluppo delle piccole e medie imprese. Per questo servirebbe che parlamentari di diverso orientamento approfondissero maggiormente le esigenze dei territori.
E ancora, è negativo il fatto che non si curi la formazione professionale privando gli artigiani di nuove leve capaci di svolgere mestieri caratterizzati da grande competenza e orientate alla qualità. In tutto questo, le imprese artigiane sembrano i famosi Prigioni di Michelangelo, che cercano di liberarsi dalla roccia che li tiene legati e chiedono al mondo politico di immergersi nella loro realtà per poter offrire soluzioni adeguate.