“Il Sud già e non ancora”: la testata di una riflessione comparsa nei giorni scorsi sul Sussidiario, a firma di Antonio Saladino, conoscitore profondo del Mezzogiorno. Il Sud “già e non ancora” è certamente quello che si materializza davanti a chi raggiunge Matera con il Frecciarossa che parte ogni pomeriggio da Milano Centrale e tocca Ferrandina poco dopo le 23. Il treno, dopo sette ore e mezza, è normalmente in orario e conferma la buona idea di portare la Capitale europea della cultura 2019 nel raggio di un weekend lungo e di un viaggio ferroviario comodo dal Nord Italia. Il problema nasce dopo oltre 800 chilometri ad alta velocità (media dopo Salerno, ma senza intoppi): negli ultimi 25 i binari non ci sono. O meglio: i binari fra Ferrandina e Matera dovrebbero esserci da tempo su un itinerario già segnato, un progetto in fase esecutiva li costruirà, ma non prima del 2022. Nel frattempo funzionano dei bus (ma non sempre) oppure è necessario prenotare taxi costosi.

È un peccato perché invece Matera “c’è già”. La città ha fatto tutti o quasi i suoi compiti a casa per il suo “appuntamento con la storia”. I Sassi non sono più solo fondali inerti per un film di Pasolini o di Mel Gibson. Qualche intellettuale materano aggrotta la fronte, ma il cerchio rispetto all’esodo imposto sessant’anni fa dalla legge De Gasperi si è chiuso: oggi fra Barisano e Caveoso migliaia di persone sono tornate a vivere e — soprattutto — a lavorare. Non in un sito archeologico, né in un parco di divertimenti. Ha ritrovato il suo spazio una nuova imprenditoria turistica e artigiana, ma attenta a non oscurare le chiese rupestri e tutto il resto. Non mancano “sassi” recuperati a dovere come abitazioni: qualcuno fra il milione mezzo di visitatori attesi l’anno prossimo potrebbe decidere di venire a vivere a Matera, con un salto di qualità rispetto alle masserie del vicino Salento; a Capri, ai borghi del Centro Italia. Perché no?

Non siamo certi che Carlo Levi storcerebbe la bocca. Il suo telero “Lucania 61” (vale “Guernica” di Picasso) è l’attrazione perfettamente valorizzata di Palazzo Lanfranchi, il principale museo cittadino, rimesso a nuovo. Il dipinto racconta splendidamente una lunga attesa di riscatto da parte del Materano, che ancora a metà del secolo scorso lo scrittore e pittore piemontese filtrava nella denuncia sociale e nell’impegno politico. L’opportunità è arrivata all’inizio del nuovo secolo ed è in parte “già” stata colta: non sulle strade senza uscita dell’assistenzialismo, ma su quelle dell’iniziativa economica, della riqualificazione urbanistica e culturale di una città unica, sulla convinzione che il turismo al Sud non è solo un mantra da convegno. A Matera oggi è visibile all’orizzonte una sintesi originale e possibile fra il richiamo di Petra o Ebla e l’accoglienza dell’Alto Adige.

Certo, restano tutti i “non ancora”: il capitale naturale, culturale ed umano non basta se non ci sono le infrastrutture. Serve una spirale positiva in moto uniforme fra burocrazia e impresa, fra politica e corpi intermedi. In questo Matera non è che un case study fra cento in Italia. Ma in questo momento è in vetrina fra quelli promettenti. Non è mai poco.