La tentazione di scendere in piazza e gridare all’ingiustizia del sistema è forte. Nonostante la piccola ripresa economica degli ultimi anni, le persone che vivono in povertà assoluta in Italia hanno superato i 5 milioni, valore più alto registrato dall’Istat dal 2005, anno in cui questo dato ha cominciato a essere calcolato.
Vengono considerati “poveri assoluti” coloro che non possono acquistare beni e servizi essenziali per una vita dignitosa.
Dopo quella indetta dall’Onu nel 1987, le iniziative per richiamare al dramma della povertà si sono moltiplicate, come la Giornata mondiale dei poveri istituita da papa Francesco l’anno scorso.
La mente va subito alle cause di una crisi che non si sa quali sbocchi avrà. Tra gli imputati c’è certamente la deriva finanziaria dei sistemi occidentali, che sta accumulando la ricchezza in poche mani e sta abbandonando la logica redistributiva, quella che pure era nata in queste economie. Il risultato è che sempre più persone sono lasciate ai margini della società.
Se si proseguisse però su questa linea di pensieri ci si troverebbe subito smarriti, impotenti e quindi alla fine distratti.
Qualunque campagna di sensibilizzazione al problema della povertà non può che essere la benvenuta perché è indice che la nostra civiltà, fondata sul valore unico di ogni essere umano, non vuole fare passi indietro.
Però, quello che la mente e il cuore di un essere umano ha bisogno di vedere è il riferimento a un fatto reale e concreto che suggerisca una possibilità di uscita, una strada attraverso cui si possa toccare una prospettiva positiva.
Per questo, la giornata di domani, dedicata alla Colletta del Banco Alimentare, assume una valenza ancora più significativa.
Domani, 145mila volontari, in oltre 13mila supermercati su tutto il territorio nazionale, proporranno a chi va a fare la spesa di acquistare un alimento non deperibile che sarà poi donato a persone bisognose attraverso più di 8mila enti caritativi.
È difficile non sentire quest’anno la Colletta come un gesto in profonda controtendenza: in un contesto di persone isolate, diffidenti e spesso in ritirata nei confronti della vita, un popolo si incontrerà nei supermercati e lavorerà per il bene dei più bisognosi; in un momento in cui l’incertezza e la paura del futuro dominano, in tanti, per nulla ricchi, si priveranno di qualcosa per gli altri.
La Colletta è il gesto che più ci dice come la speranza sia legata al realismo e non sia un’utopica guerra contro il “sistema”, anche se è l’unica chiave d’accesso per cambiarlo.
Infatti quello che le analisi economiche non possono cogliere, perché non è prevedibile, è la scintilla che scocca di fronte a situazioni concrete e che genera la voglia e la capacità di andare avanti, di rischiare, di ricominciare a costruire. Il bene comune non è un’idea astratta, ma una prospettiva generale mutuata da esempi particolari che funzionano, che cambiano qualcosa, anche di molto piccolo, e gli danno una prospettiva. E quindi non può che nascere “dal basso”. Difficile immaginare un’esperienza che, più della Colletta, è vicina al livello più intimo della società, più legato all’iniziativa personale e alla disponibilità a relazionarsi con chi si incontra. Infatti non è solo un esempio di carità, ma di civiltà.
Anche in questo senso è un gesto in controtendenza, esprimendo una solidarietà a tutto campo tra ricchi e tra poveri. In un’epoca di guerre tra poveri, in parte fomentate da forzature propagandistiche, ma comunque segno di reale disagio, fa impressione ad esempio sentire un carcerato che l’anno scorso ha partecipato alla Colletta, dire: “È la prima volta che ho fatto del bene. Ho sempre fatto male per campare. Ma il bene esiste”.
Il bene è un pacco di pasta da donare al Banco, ma soprattutto è la scintilla che scatta in chi decide di farlo.
Questa scintilla cova nel popolo sotto la cenere. Ci vorrebbe un’educazione del popolo, come disse Luigi Giussani dopo i fatti di Nassyria, colpito dalla commozione di tante persone. La Giornata Nazionale della Colletta Alimentare è parte di questa educazione.