Mister Hyde è un essere brutale e repellente, uno che scontrandosi di notte con una bambina, la getta per terra, la calpesta e la lascia lì dolente e piangente. Un’Italia-Mr. Hyde appare quella che impattando con il rapimento di una giovane volontaria in Kenya la calpesta così: “Se l’è andata a cercare”, “Quei selvaggi le insegnino le buone maniere sessuali”, “Lo Stato non deve pagare con i nostri soldi per una scriteriata in cerca di emozioni forti”.

Il dottor Jekyll è un buon medico e un uomo buono, uno che risarcisce restando anonimo la famiglia della bambina travolta. Un’Italia-dr. Jekyll, a distanza di un giorno o due dagli improperi repellenti, un’Italia di 5 milioni di persone e più ha fatto per il ventiduesimo anno la spesa per quegli altri 5 milioni e passa che non la possono fare, grazie all’impegno di 150mila volontari.

Il capolavoro di Stevenson viene in mente perché non si tratta di due Italie, ma – almeno grosso modo – della stessa, così come Jekyll e Hyde sono non due, ma la stessa persona. La trasformazione dell’uno nell’altro accade per effetto di una pozione che destruttura l’unità dell’io e conferisce un’esistenza autonoma al desiderio di bene e al suo contrario. E che cosa segna la metamorfosi dell’Italia-Jekyll nell’Italia Hyde? Di che pozione trattasi?

Ci aiuta un piccolo episodio accaduto proprio durante la Colletta nazionale di sabato scorso, nel piccolo supermercato di un piccolo paesotto del Milanese. I clienti aderiscono quasi tutti. I pochissimi clienti-Hyde sono di due tipi: chi tiene gli occhi per evitare l’invito, e chi, come una certa sciura, all’invito risponde un bel no, perché… non c’è troppo da fidarsi. Segue breve cordiale dialogo di “spiega”, chi siamo, cosa facciamo, venga a vedere… che però non sembra convincere. Amen. Dopo un po’ la signora esce con la sportina della spesa sua e la borsetta dei prodotti per la Colletta. “Oeuh, cos’è successo, sciura?”. “Eh dai voglio fidarmi di voi”.

Ecco una traccia per scoprire la pozione venefica che tira fuori il peggio di noi: gli occhi bassi che non incontrano altri occhi. Persone che non incontrano altre persone. La chiusura nel pregiudizio (indotto dalla propaganda del potere) che ci fa rifiutare l’incontro con qualcosa, anche un piccolo bagliore (Gaber), che ci interpelli e ci proponga l’uscita dal nostro carapace.

A proposito di incontro. Stesso paese, gruppetto di giovani dell’oratorio, 16-24 anni o giù di lì. Tema accoglienza e (anche) immigrazione. L’accoglienza nella Bibbia e nel Vangelo: nessuna obiezione. Accoglienza del prossimo, dell’amico, della moglie, dello straniero… “Va bene, ve bene… ma non è che possiamo mantenere tutti quelli che arrivano coi barconi”. “Aiutiamoli a casa loro, se proprio”. Eccetera. Il Vangelo rimane in premessa, nel reale vien fuori un piccolo Hyde. Atto secondo, i ragazzi incontrano due coetanei di seconda generazione, Luna e Trahfik. Storie drammatiche, vite vere, umanità giocate sul campo, domande sul futuro, domande su di sé, e verifiche senza sconti di come stai di fronte alla realtà, conoscenze, accoglienze (reciproche), compagnie, arricchimento umano reciproco nell’interazione fra diversità di vicende, radici e culture.

L’incontro con Luna e Tahfik aiuta a disintossicarsi dalla pozione malefica che ci trasla dall’esperienza all’opinione, dal criterio del bene e del bello alla mentalità dominante, da un io protagonista a pedine del potere.

Non è che tutto sia così automaticamente risolto. La sciura del supermercatino di cui sopra ha concluso il dialogo dicendo (con aria complice, perché il ghiaccio s’era sciolto): “Certo che per mettere a posto le cose bisognerebbe andare a Roma e incendiarli tutti”. “Ne han bruciate di capitali nella storia, ma non ne è mai venuto niente di buono. Stia bene, sciura e arrivederci presto”. “Arrivederci”.

Come dire: l’educazione del popolo è lotta dura e di lunga durata, anche perché c’è sempre da educare innanzitutto se stessi. Educarsi a cosa? Alla realtà, uscendo dall’astrazione. L’astrazione spera nell’incendio di Roma, cioè non porta da nessuna parte. Fatti reali e concreti segnano invece un cambiamento qui e ora, alimentano la speranza e possono suggerire migliori criteri di affronto dei problemi. Putacaso i problemi della povertà e dell’integrazione, che, combinazione, sono i due assi su cui gialli e verdi governativi si giocano il consenso.

Ma ridiciamolo: la differenza di partenza la fanno gli occhi: con la sciura è possibile dirsi arrivederci perché ha lasciato che il suo sguardo incrociasse un altro sguardo. Così per i ragazzi dell’oratorio. Se invece gli occhi li teniamo pervicacemente bassi e puntati a terra, occhio che ci stanno diventando torvi. Come quelli di Mr. Hyde.