Resistenza passiva

La libertà può essere recuperata solo con la dipendenza. Cosa tutt'altro che facile in un tempo in cui non si dà spazio all'altro, ma solo a se stessi

“Arkangel” è il titolo del secondo episodio della quarta stagione di “Black Mirror”, una delle serie del momento, che Endemol ha presentato come un prodotto “che si nutre del nostro malessere per il mondo contemporaneo”. Mostra, con un alto livello di qualità audiovisiva, gli smarrimenti e i dolori di un futuro immediato in cui la tecnologia che abbiamo ha sviluppato tutte le sue potenzialità.

“Arkangel” è stato diretto da Jodie Foster con uno stile classico e freddo. Racconta la storia di una madre che ha cresciuto sua figlia da sola. Di fronte alla paura dei pericoli che la bambina deve affrontare nella sua vita normale, la madre decide di installarle un chip nella testa. Questo piccolo esercizio di transumanesimo sembra avere solo vantaggi. Di fronte alla paura che la libertà della figlia provoca, la tecnologia consente di sapere sempre dove si trova e cosa fa. Il chip può anche essere utilizzato come inibitore che censura le situazioni spiacevoli che causano malessere.

La madre si rende conto che deve abbandonare lo strumento quando sua figlia è cresciuta, ma non è in grado di rinunciare al controllo parentale che le offrono i nuovi mezzi. Non dipende da sua figlia, ma dalla sua paura, dal progetto che ha su di lei. I suoi interventi diventano sempre più invasivi.

Joseba Arregi, ex politico dei Paesi Baschi e tra gli uomini che ha combattuto contro l’uso improprio della libertà dei terroristi, senza fare riferimento all’episodio di “Black Mirror”, ha sottolineato pochi giorni fa che questa sindrome di cui soffre la madre in “Arkangel” è una delle caratteristiche del momento attuale. Dopo aver letto il libro di Mikel Azurmendi “El Abrazo”, ha segnalato, citando l’antropologo tedesco Arnold Gehlen, che siamo tornati “all’arcaismo”. Ciò che prima era attribuito alla magia o alle antiche religioni è ora attribuito alla tecnologia. “La tecnologia come continuazione della magia della religione, con altri mezzi, cerca lo stesso controllo, dettando i ritmi. La magia è controllare i poteri occulti e la tecnologia ci consente di fare esattamente la stessa cosa”. La digitalizzazione si estende in un mondo in cui il desiderio di libertà è diventato paura, e la volontà di autonomia ha fatto sì che l’altro non esista.

Cosa si può fare in questo contesto? La verità salva la libertà dai suoi fantasmi. Ma l’affermazione di una verità chiara e nitida nei suoi enunciati non serve, a giudicare dal modo in cui Arregui descrive la situazione sociale. Perché “se uno ascolta un po ‘e fa attenzione – assicura l’ex politico basco – alle parole pronunciate e al modo con cui si costruiscono le frasi, tutte iniziano con ‘io’, ‘la mia opinione’. Questo io è già blindato, nessuno può andare contro i suoi sentimenti. Non c’è argomentazione. Parliamo e dialoghiamo, ma non c’è parola più priva di contenuto che ‘dialogo’. Tutto inizia con ‘io’, ‘per me’, ‘secondo me’, è il selfie permanente”. Se le cose stanno così, il piano della verità e quello dei sentimenti blindati saranno sempre paralleli. Il valore della libertà, la verità della figlia della protagonista di “Arkangel”, non può far breccia. Non c’è nessuno che abbatta quel muro ripetendo formule certe. La dipendenza dal chip è insormontabile.

Per Arregui, la libertà viene salvata recuperando la dipendenza, recuperando l’altro. “Una delle cose che mi è piaciuta di più nel libro di Azurmendi è la libertà che deriva dalla dipendenza. Posso essere libero perché qualcuno mi sostiene – dice -. Allora posso fare ciò che voglio, ma sempre al servizio degli altri, non per me stesso. Nella società di oggi abbiamo imparato a vendere tolleranza quando in realtà vogliamo dire indifferenza. Non siamo tolleranti, perché il tollerante si lascia interrogare da altri modi di vivere, da altri valori, e li mette in discussione. Se non vanno contro la libertà di coscienza, contro certi diritti umani, mi apro e supero la paura che mi causano. Questo è essere tollerante ed è difficile, perché c’è indifferenza verso l’altro e ognuno fa ciò che vuole”. La libertà si recupera, indica Arregui, quando non si dipende dall’idea o dal sentimento, ma dalla realtà dell’altro.

Arregui sa bene quanto sia cara la libertà perché ha vissuto nel periodo di forte terrorismo dell’Eta, sa cosa si perde a causa della violenza, quindi propone “di rendere presente nuovamente questa umanità (quella che dipende) con piccoli gesti, con piccoli lavori, con una presenza dedicata agli altri. Questo è fondamentale, perché alla fine ci sarà un giusto che impedisce a Dio di porre fine a Sodoma e Gomorra. Nei Paesi Baschi lo abbiamo imparato con la violenza”. Si tratta, aggiunge, di “una resistenza passiva e attiva alla cultura attuale, una resistenza che torna a dare significato alla realtà, che torna a offrire la speranza di credere nella propria umanità, negli esseri umani, nei rapporti umani, nell’umanità che ci è data. Abbiamo dimenticato che siamo il prodotto di un dono, la vita”. Lo dice qualcuno che ha sofferto una delle più grandi tribolazioni che si sono verificate nell’Europa del dopoguerra.

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