Quando il ministro dell’Economia Giovanni Tria, alla fine dell’estate, ha ventilato per la prima volta un deficit-ratio obiettivo per la manovra 2019 non ha previsto alcun decimale oltre la soglia del 2%. Sul Sussidiario abbiamo subito sottoscritto una linea di politica finanziaria ragionevole, che sembrava coniugare l’esigenza di stimolare la ripresa senza tendere all’eccesso la rete dei parametri di stabilità Ue e quindi la fiducia dei mercati sul debito italiano. Abbiamo ribadito la convinzione che la posizione iniziale di Tria rimanesse la più corretta anche quando il Governo ha formalizzato un budget-quadro a quota 2,4%, e lo spread si è impennato in parallelo all’escalation polemica fra Roma e Bruxelles.



Non abbiamo cambiato valutazioni neppure sul merito dell’impostazione del budget da parte del governo Conte. L’ultimo Meeting di Rimini, coinciso con la fase di apertura operativa del cantiere-manovra, aveva fatto emergere un consenso visibile su almeno tre indirizzi di politica economica. Il primo era l’opportunità di un allentamento della pressione fiscale sulle imprese, con ottica selettiva. L’ipotesi di prosecuzione del piano nazionale Industria 4.0 – che Tria aveva posto nella sua agenda di partenza – sembrava ad esempio altamente condivisibile: soprattutto quando gli incentivi alla digitalizzazione erano in predicato di essere rimodulati ed estesi alla “formazione 4.0”.



Un secondo orizzonte appariva oltremodo rimarcato dal tragico crollo di Genova. Un piano di rilancio infrastrutturale dell’Azienda-Paese sembrava da un lato collaudato nelle dinamiche d’impatto sul Pil, dall’altro spendibile sul fronte del negoziato con l’Ue sui margini di flessibilità. Nel format “infrastrutture”, inoltre, confluiscono oggi sia le reti e snodi classici (autostrade, ferrovie, porti ,aeroporti, energia), sia quelli innovativi (banda larga).

Un terzo e probabilmente più delicato spunto di riflessione è stato offerto fin dapprincipio dal cosiddetto “reddito di cittadinanza”. Un dossier che – lungi dal respingere in via pregiudiziale – sul Sussidiario abbiamo cercato di articolare in termini propositivi nei suoi due momenti problematici. Il primo: non confondere la corretta preoccupazione di un Governo per soccorrere le crescenti di aree di povertà nel Paese con le sfide di politica del lavoro, cioè di lotta alla disoccupazione, soprattutto giovanile. Di qui una seconda riserva sul reddito di cittadinanza com’è tuttora configurato nel progetto di manovra: perché non utilizzare le risorse destinate a chi il lavoro l’ha perso o non l’ha mai trovato per vaste azioni di “politica attiva del lavoro”, cioè di formazione e ri-formazione? Il Jobs Act, dal canto suo, ha disegnato un percorso la cui validità riformistica di lungo periodo è stata solo confermata da tutte le incertezze operative del recente “decreto dignità”. Analogamente, un eventuale allentamento temporaneo della legge Fornero, può rivelarsi poco efficace se al rimpiazzo dei lavoratori anziani prepensionati si presentano giovani neet, non preparati per operare in modo competitivo in imprese evolute.  



“Ripartire (bene) dal 2% di Tria”: l’ultima raccomandazione del Sussidiario porta la data di fine ottobre. Se l’intero Governo matura la convinzione di “ripartire” dalle proposte del suo ministro dell’Economia, sarà una vittoria – non una sconfitta – anzitutto per il Governo. Ma anche per il sistema-Paese.